Il sistema fiscale irlandese
Indice
2.2 Il sistema fiscale irlandese.
I regimi impositivi irlandesi favorevoli di cui tanto si è discusso, e che sono stati oggetto di numerose critiche da parte dell’U.E., sono quelli già evidenziati dalla lista Primarolo e dalla relazione OCSE, che incidono cioè con un’aliquota societaria (c.d. corporate tax) preferenziale del 10% (contro l’ordinaria attuale del 24%) su determinate attività d’impresa, caratterizzate qualitativamente o geograficamente.
Con precisione si tratta di [32]:
- attività “manifatturiere” avviate in territorio irlandese, tra le quali si annoverano tra le più importanti le lavorazioni di semilavorati in proprio o per conto terzi, le riparazioni e manutenzioni di scafi, il commercio di beni prodotti nel paese, la gestione di compagnie di navigazione;
- prestazioni di computer services o legate allo sviluppo e gestione di pacchetti software e alla relativa assistenza, a patto che tali attività siano state avviate con l’ausilio dei finanziamenti I.D.A. (l’Agenzia irlandese per lo sviluppo industriale [33]) a favore dell’impiego;
- specifiche attività bancarie e finanziarie svolte da società domiciliate nell’I.F.S.C. (International Financial Services Centre) di Dublino, a condizione che abbiano ottenuto apposito permesso da parte del Ministero delle Finanze irlandese [34];
- le attività svolte nell’area dell’aeroporto di Shannon [35] che siano ad esso inerenti o ausiliarie (riparazione e manutenzione aeromobili, servizi aeroportuali, attività indicate dai ministri delle finanze e dei trasporti come strumentali al pieno sviluppo dell’area, …), sempre previa concessione di apposito permesso ministeriale [36].
[32] Cfr. “Opportunità di investimento in Irlanda”, Fisco internazionale, articolo a cura di G. Sozza.
[33] “Si tratta di una agenzia parastatale, con sede nel porto di Dublino, il cui responsabile è il Ministro dell’Industria, dotata di un consiglio di amministrazione composto da dodici membri di cui sei provengono dall’industria pubblica e sei da quella privata; ogni anno vi è, a rotazione, il rinnovo della nomina di due componenti; il Presidente e il consiglio di amministrazione sono nominati direttamente dal Governo”. Cfr. Regione autonoma Friuli Venezia Giulia, Consiglio regionale, “Relazione sulla trasferta di una delegazione della prima commissione permanente in Irlanda”, a cura di R.Asquini, 6 – 11 marzo 1999.
[34] L’IFSC è stato creato nel 1987, con il riconoscimento della Comunità Europea, ed impiega attualmente circa 6.000 persone, con più di 400 istituzioni che contribuiscono per il 25% delle entrate totali fiscali dello Stato irlandese per quanto riguarda l’imposta sulle società. Cfr. G.Cervino: “Riforma fiscale irlandese”, La settimana fiscale, n.3 anno 2000.
[35] “L’aeroporto di Shannon è stato costruito intorno agli anni ’40 come ultimo scalo europeo per i voli intercontinentali diretti verso gli Stati Uniti; il suo utilizzo si è però rivelato inutile dopo l’invenzione dei jet, intorno agli anni ’60. Si è così escogitata l’idea di creare una zona franca (la prima al mondo) per attirare nuovi investimenti e dare lavoro ai dipendenti dell’aeroporto altrimenti disoccupati. Nel prossimo futuro, considerato il fatto che le zone franche sono destinate a sparire nei paesi aderenti alla Comunità Europea, l’area di Shannon è destinata a trasformarsi in una zona industriale con funzioni di sviluppo in campo rurale, industriale e turistico”. Cfr. Regione autonoma Friuli Venezia Giulia, Consiglio regionale, “Relazione sulla trasferta di una delegazione della prima commissione permanente in Irlanda”, a cura di R. Asquini, 6 – 11 marzo 1999.
[36] Cfr. P.Valente, M.Magenta (articolo a cura di) “Irlanda: La Commissione Europea approva il nuovo regime fiscale”, Corriere Tributario n. 49, 1998.
Coerentemente con quanto detto nel precedente paragrafo, subito si capisce come fosse prevedibile un intervento comunitario che contrastasse una politica fiscale tanto anomala quanto attraente.
La risposta irlandese, non si fece attendere [37]. Nel rispetto delle normative comunitarie infatti venne raggiunto un accordo nel luglio 1998, in base al quale la convenienza ad investire capitali stranieri in Irlanda non può più considerarsi limitata a specifici settori merceologici, bensì risulta estesa alla totalità delle fattispecie imprenditoriali.
[37] Cfr. “Opportunità di investimento in Irlanda”, Fisco internazionale, di G. Sozza.
Dall’ultima finanziaria irlandese relativa al 2000 – 2001, il panorama fiscale si può così sintetizzare [38]:
- termine, a far data dal 1° gennaio 2000, dell’attribuzione di nuove autorizzazioni per accedere al regime privilegiato dell’IFSC di Dublino e della Shannon Airport Development Zone; le imprese che abbiano ottenuto l’autorizzazione successivamente alla data dell’accordo con l’Unione Europea (12/07/1998) potranno godere delle agevolazioni sino al termine del 2002 e non sino a tutto il 2005 come previsto originariamente; per il trattamento concesso ad imprese svolgenti attività manifatturiere e assimilate, vale lo stesso principio di cui sopra con la variante, per le società già beneficiarie prima dell’accordo del 1998, dell’estensione dell’agevolazione sino al termine naturale del 31/12/2010 anziché il 31/12/2002; va detto che per gli anni fino al 2003 le concessioni governative saranno limitate ad un numero massimo di 77 per anno;
- introduzione, a partire dal 1° gennaio 2000, nel rispetto delle ultime Direttive UE a favore della piccola media impresa, di una tassazione agevolata al 12,5%, per redditi annui sino a 75.000 Lire irlandesi, sulle prime 50.000 Lire irlandesi;
- aliquota ordinaria sulle società del 24% per l’esercizio coincidente con l’anno solare in corso (che verrà abbassato gradualmente, sino a giungere nel 2003 al 12,5%);
- in caso di società residenti, esenzione totale dalla Corporation Tax dei redditi derivanti da brevetti (c.d. royalties) frutto di attività di ricerca e sviluppo svolte in Irlanda;
- tassazione al 20% delle plusvalenze su cessioni di immobilizzazioni materiali (immobili, terreni edificabili, …) e dei patrimoni oggetto di donazioni e successioni ereditarie;
- esenzione fiscale sulle plusvalenze patrimoniali e sui redditi prodotti da branch estera di società residente che riceva il placet ministeriale in seguito ad un solido piano di investimento mirante a creare almeno 40 nuovi posti di lavoro nel primo triennio;
[38] Si noti che qui sono state riportate solo le principali norme, e comunque quelle più interessanti per il tipo di analisi che si vuole compiere. E’ evidente che un eventuale investitore straniero potrebbe trarre ulteriori agevolazioni da questo sistema tributario. Ma quelle riportate sono sicuramente quelle che più hanno creato, e continuano a creare i maggiori problemi di “armonizzazione”.
E’ evidente come il terzo dei punti sopra elencati sia, tra tutti, il più importante, dal momento che è quello che modifica il sistema fiscale rendendolo formalmente inattaccabile. Nel successivo paragrafo si cercherà di spiegare il “perché” una simile soluzione copra il Governo di Dublino da eventuali attacchi comunitari.
Ma prima di passare ad una analisi più approfondita dell’abbattimento dell’aliquota fiscale sulle società, si vuole qui evidenziare come la decisione di assoggettare alla medesima aliquota tutte le società che producono reddito in EIRE risalga al giugno 1997 e non dunque all’accordo del 22 luglio 1998 raggiunto con l’Unione europea. Si precisa tutto ciò in quanto da più parti l’eliminazione della famosa “ten per cent tax” è stata salutata come una vittoria da chi vorrebbe utilizzare il “Codice Monti” quale fondamentale strumento di pressione sulle scelte fiscali degli Stati membri dell’UE [39]. Tale precisazione, chiarisce come da un lato è indubbio che il Pacchetto Monti abbia sicuramente influito nella decisione presa dal Governo irlandese, ma di fatto non si possono attribuire più di tanti meriti al suddetto documento, in quanto, in linea di massima è ragionevole ritenere che la manovra sarebbe stata attuata ugualmente, anche se forse non in tempi così brevi.
[39] Cfr. : “Il fisco”, n.4, Gennaio 1999.
2.3 L’abbattimento dell’aliquota ordinaria sulle società.
Il vero e proprio capolavoro fiscale del Governo irlandese deve dunque essere considerato l’aliquota sulle imposte societarie al 12,5%, progetto esposto nella finanziaria per il 1998. Qui infatti l’U.E. non è potuta intervenire, dal momento che in questo caso non si può parlare precisamente di “agevolazione” o “aiuto di stato”, ma di un “generico tasso impositivo”.
Un simile livello di tassazione non è stato infatti considerato contrario alle norme comunitarie circa la leale concorrenza fiscale, dal momento che si è già detto che la fiscalità diretta è un’esclusiva dei singoli stati e non trattandosi di aiuti di stato o di una tassazione pregiudizievole [40], un’eventuale intromissione dell’U.E. relativamente a questa questione sarebbe semplicemente un’ingerenza in un campo che, per scelta dei singoli membri, deve rimanere fuori dal suo controllo [41].
[40] Infatti il tasso si applica a tutte le società operanti in Irlanda e non contrasta ne con le disposizioni del rapporto OCSE, ne con il codice di condotta.
[41] E’ lo stesso Commissario M. Monti che precisa come non si possono configurare come aiuti statali le aliquote alquanto ridotte che l’Irlanda applica attualmente agli investimenti esteri, poiché la Commissione ha chiesto e ottenuto che si superasse la differenziazione tra il trattamento fiscale dei profitti derivanti da tali investimenti e quello cui erano assoggettate le imprese nazionali. Tale intesa ha indotto il governo di Dublino ad applicare a tutte le imprese un’aliquota del 12,5 per cento, che è la metà di quella precedentemente imposta alle imprese nazionali, ma non ha effetti distorsivi sulla concorrenza, essendo ora generalizzata a tutti gli investitori. Vedi il sito: www.EuropaLex.it .
In altre parole, ogni Nazione della U.E. è assolutamente libera, nel rispetto delle regole del codice di condotta e della Relazione OCSE, di scegliere il proprio livello di imposizione fiscale, come si è già detto nel primo capitolo, dove si è ricordato che non vi sono ragioni particolari per cui i livelli di tassazione debbano essere i medesimi per tutte le nazioni. D’altronde lo stesso principio di armonizzazione fa riferimento più ad una linea di condotta generale uniforme che ad un medesimo tasso per tutta la U.E. . E’ bastato dimostrare quindi, da parte del Governo irlandese, che il livello impositivo del 12.5% era sufficiente a garantire le entrate necessarie a coprire le spese e applicarlo alla totalità delle imprese operanti sul territorio.
Si ricorda, a tal proposito, quanto sottolineato da F. Ferro in un suo recente articolo: “Quanto alla tassazione diretta delle imprese, l’Irlanda … ha accettato di unificare le aliquote con quelle applicate alle imprese nazionali, entro un periodo di cinque anni … . Ma l’unificazione non è avvenuta verso il livello delle aliquote domestiche, bensì vicino al livello di quelle consentite agli investitori esteri, cioè sul 12%, sicché si è tolta la distorsione su cui la Commissione poteva intervenire, ma si è accentuata la concorrenza fiscale irlandese”[42].
[42] Cfr. : Francesco Forte “I vincoli ai processi decisionali delle pubbliche amministrazioni derivanti dall’U.M.”.
Ciò che si teme maggiormente è che al posto di creare una “salutare” competizione fiscale infra – comunitaria, un simile tasso crei (indipendentemente dal fatto che sia applicato a tutte le società operanti in Irlanda, e quindi formalmente “legittimo”) degli scompensi notevolissimi, che potrebbero essere all’origine di un più vasto processo di rilocalizzazione delle strutture produttive. Queste ultime, nel tentativo di ridurre il costo della produzione, potrebbero venire trasferite dai Paesi a regime fiscale normale a quelli che prevedono costi tributari sensibilmente più contenuti. Processo questo che non potrà non avere evidenti ed imprevedibili conseguenze in termini di disoccupazione e di riallocazione delle risorse produttive.
A tal proposito va ricordata un’indagine [43] sui profili qualitativi della fiscalità d’impresa negli Stati dell’U.E. condotta dal Centro Studi Ernst & Young per conto del Comitato tecnico Andaf, i cui risultati sono stati resi noti più di un anno fa, ma non per questo sono meno interessanti.
La ricerca è stata realizzata attraverso la diffusione di un questionario suddiviso in due parti: la prima parte è diretta a valutare in che misura la fiscalità condiziona le decisioni strategiche d’impresa riguardanti la localizzazione delle attività economiche nel territorio dell’Unione Europea, la realizzazione di operazioni straordinarie con società di altri Paesi membri e le scelte di investimento all’estero.
La seconda parte è volta, invece, ad indagare la qualità generale degli ordinamenti fiscali degli Stati membri e il grado di efficienza delle Amministrazioni finanziarie nei rapporti con il contribuente.
Entrambe le valutazioni risultano quindi estremamente interessanti, ma delle due è sicuramente la prima che colpisce di più e che più interessa ai fini della presente trattazione.
[43] Cfr. : “Amministrazione & Finanza”, 1999 , n. 19 , Inserto.
2.3.2 L’impatto della leva fiscale sulle decisioni d’impresa.
Per quanto riguarda la prima parte del questionario, va rilevato, in via preliminare, che l’indagine trae spunto dal Rapporto realizzato dal “Comitato Ruding” [44] nel 1991/1992 nell’ambito di uno studio condotto su incarico della Commissione europea.
[44] Nella sua attività il Comitato ha preso inoltre atto delle difficoltà politiche e oggettive per dare una risposta efficace ai problemi fiscali comunitari, cercando di basare le proprie conclusioni sul principio della sussidiarietà piuttosto che su quello di una piena e totale armonizzazione. Tale principio tiene conto sia della volontà degli Stati membri di mantenere il controllo sul settore fiscale, sia del requisito dell’unanimità che vige per l’adozione di provvedimenti comunitari in campo fiscale.
Il Rapporto Ruding può essere considerato un punto importante nello studio dei sistemi fiscali di imposizione diretta sulle società in Europa e nella predisposizione di una possibile soluzione dei problemi derivanti dalle differenze di tassazione nei singoli Stati membri.
L’attività del Comitato Ruding si è concentrata su tre elementi essenziali:
- verificare se le differenze esistenti nei sistemi di tassazione delle persone giuridiche nei vari paesi europei comportano una distorsione nella localizzazione degli investimenti e influenzano il funzionamento del mercato interno europeo;
- in caso positivo, l’individuazione di quali possano essere gli strumenti per eliminare tali disparità;
- su quali elementi debba incentrarsi l’attività della Comunità per poi verificare altresì se l’armonizzazione debba tendere all’unificazione dei sistemi impositivi nazionali o ad un semplice coordinamento degli stessi. E come nel rapporto Rouding, al fine di verificare l’incidenza della fiscalità nella definizione delle strategie d’impresa sono state prese in considerazione, anche dal centro ricerche della Ernst & Young, le seguenti variabili:
- il livello delle aliquote d’imposta sui redditi societari;
- i criteri per la determinazione della base imponibile;
- l’esistenza o meno di forme di incentivazione agli investimenti;
- il livello delle ritenute alla fonte applicate sui dividendi e sugli interessi;
- i costi generali relativi all’applicazione della normativa fiscale e l’incertezza derivante dall’interpretazione della stessa [45].
[45] Il punto 5 verrà trattato nel successivo paragrafo.
Su questo fronte, le risposte fornite dai due questionari non hanno presentato rilevanti discordanze.
In base ai risultati delle ricerche sembra possibile affermare che, in linea di principio, la fiscalità sicuramente rappresenta un fattore di rilievo nelle scelte riguardanti la localizzazione delle attività economiche. A questa stregua, va rilevato che le profonde differenze esistenti tra i regimi impositivi adottati dai diversi Stati membri amplificano l’importanza della “leva fiscale” nelle decisioni strategiche in ordine alla destinazione di nuovi investimenti.
Nella grande maggioranza degli Stati inoltre l’esistenza di misure agevolative, il livello delle aliquote e delle ritenute sembrano condizionare in maniera determinante le scelte delle imprese, mentre gli altri elementi incidono in misura minore. In ultima analisi quindi, alla luce dei risultati di queste indagini [46], sembra possibile affermare che, quanto più numerose e rilevanti sono le difformità in campo tributario, relativamente ai diversi sistemi impositivi in vigore negli Stati membri, tanto più determinante è il peso esercitato dalla “leva fiscale” nelle decisioni d’impresa.
[46] Cfr. : “Amministrazione & Finanza”, 1999 , n. 19 , Inserto.
Molto simili a questi anche i risultati di un’indagine condotta nel lontano 1966 dall’Autorità per lo Sviluppo Industriale irlandese che chiese a 81 società straniere che avevano investito in Irlanda di elencare in ordine di importanza le ragioni per cui avevano scelto l’Irlanda come base per le loro attività [47]. La conclusione fu che gli incentivi fiscali avevano esercitato una maggior influenza nella decisione di investimento, rispetto agli altri fattori elencati, quali la disponibilità di manodopera, l’apertura del mercato, la disponibilità di materie prime in loco e la presenza di stabilimenti ed impianti già esistenti.
[47] Cfr. “Integrazione economica e convergenza dei sistemi fiscali nei paesi U.E.”, AA. VV., Giuffrè Milano, 2000.
Se queste ricerche enfatizzano il peso della leva fiscale, ve ne sono altre che, pur riconoscendo al fisco una grande importanza nella decisione allocativa d’impresa, tuttavia lo pongono solo dopo altri fattori che risultano più influenti.
La prima venne condotta nel 1963 dal Centro di Ricerche economiche e gestionali di Lille (Francia): le 40 società intervistate evidenziarono che il sistema fiscale assume un ruolo assai importante nelle decisioni concernenti la localizzazione degli investimenti, ed è il primo fattore tra quelli che dipendono dal sistema statale del paese, come agevolazioni creditizie, contributi pubblici, disponibilità di zone industriali, efficienza della pubblica amministrazione. Tuttavia i fattori più importanti, indicati dalle imprese osservate, ai fini della loro capacità di influenzare le decisioni d’investimento, furono le telecomunicazioni, la presenza di manodopera qualificata e le infrastrutture.
Va ancora segnalato uno studio [48] compiuto dall’Università di Ghent (Belgio) nel 1970. Anche questo evidenziò che le ragioni per cui la maggior parte delle società avevano scelto il Belgio per investire erano costituite soprattutto dalla situazione del mercato del lavoro e dalle infrastrutture. Solo dopo questi fattori venivano presi in considerazione il sistema fiscale, gli aiuti di stato e le agevolazioni creditizie [49].
Tali indagini conoscitive si riferiscono alle decisioni d’investimento in Europa; anche uno studio non pubblicato sulle decisioni di localizzazione degli investimenti su base mondiale, e rivolto a 142 multinazionali di origine statunitense, britannica, francese e tedesca, ha presentato risultati non dissimili da quelli raggiunti dai due precedenti [50].
[48] Si noti come, relativamente all’impatto della leva fiscale sulle decisioni d’impresa,sono stati riportati solo alcuni studi, i più importanti relativamente all’ampiezza della base di riferimento.
[49] Cfr. :”Taxes on direct investment income in the EEC: a legal and economic analisis”, New York, 1975.
[50] Cfr. :”Taxes on direct investment income in the EEC: a legal and economic analisis”, New York, 1975.
Sulla base di quanto detto, e considerando il panorama economico comunitario, emerge un quadro d’insieme che risulta estremamente favorevole al modello irlandese, dal momento che la struttura fiscale introdotta dal Governo di Dublino sembra avere tutti quei requisiti che le suddette ricerche, ultima in ordine di tempo lo studio della Ernst & Young, hanno definito importanti per ogni scelta di allocazione delle imprese, dal momento che è inserita in un contesto di grandissima variabilità dei tassi impositivi e, nel vasto panorama fiscale, offre sicuramente l’alternativa migliore.
Ma va qui segnalato, per una corretta visione d’insieme, che l’Irlanda non rappresenta, attualmente, l’ottimo solo sotto un punto di vista fiscale. Non si può dimenticare infatti, come il suo impressionante sviluppo sia determinato anche da tutti quegli altri fattori che, come evidenziano le ultime tre ricerche analizzate, risultano estremamente importanti nella scelta allocativa d’impresa e che in Irlanda adempiono pienamente a tutte quelle esigenze, diverse da quella fiscale, di cui un’impresa può avere bisogno. Ci si riferisce ad un costo della manodopera molto basso, ad una massiccia presenza di manodopera a tal punto specializzata che la tendenza all’investimento in Irlanda sembra orientata verso gli investimenti in attività di tipo “labur intensive” piuttosto che “capital intensive”, ove cioè la componente umana sia preponderante rispetto alla componente macchina e siano richieste elevate capacità e conoscenze [51] (computer services, software developing e testing, engineering, industria farmaceutica, elettronica, aerospaziale) [52]. E ancora si deve qui ricordare come si stia prestando anche, da parte del Governo di Dublino, grande attenzione alle infrastrutture di ogni genere, in particolare nel ramo delle telecomunicazioni [53].
[51] Vi è una attenzione particolare alle competenze professionali e al valore aggiunto che esse determinano nel prodotto, si che si cerca di non trascurare la formazione anche dei lavori per cui nel resto d’Europa vengono richieste minori competenze, “…Anche le società impegnate nella produzione materiale cercano di fornire soprattutto servizi e competenze. Per esempio, in un’azienda specializzata nella produzione di mangime animale, il 50% dello staff e’ formato da esperti in alimentazione”, Cfr. . Il Sole 24 ore, 30-10-1997, a cura di Alfredo Sessa
[52] Cfr. “Opportunità di investimento in Irlanda”, Fisco internazionale, articolo a cura di G. Sozza.
[53] Cfr. “Il Sole 24 ore”, Giovedì 12 Ottobre 2000, a cura di J.M. Brown.
A tal proposito non va sottovalutato il fatto che il Governo, circa due anni fa, ha promosso la privatizzazione dell’operatore statale delle telecomunicazioni, investendo in un collegamento transatlantico via cavo che fornirà a imprenditori e imprese locali una vitale connessione a Internet a banda larga. Ecco quindi che l’Irlanda ha tutte le carte in regola per divenire il fulcro europeo del commercio elettronico. Infatti data la nuovissima ed efficiente rete di telecomunicazioni presente sul territorio, l’investimento in Irlanda risulta particolarmente vantaggioso per quelle tipologie aziendali che di questa risorsa fanno un uso primario (call centres, telelavoro, on line services ed e – commerce in generale) e soprattutto per le sedi primarie di società con strutture molto decentrate con continuo interscambio di informazioni.
La tabella che segue, relativa ai diversi tipi di industrie che hanno investito in Irlanda negli ultimi dieci anni, evidenzia in particolare la massiccia presenza di imprese che operano nei suddetti rami ad alto contenuto tecnologico.
Diversi tipi di industrie presenti in Irlanda. Fonte:IDA Ireland, 2000.
Principali Paesi investitori in Irlanda. Fonte:IDA Ireland, 2000.
Si riportano qui di seguito un grafico ed una tabella, al fine di evidenziare meglio quanto sin qui detto.
Come si vede dalla prima tabella, il Piano di sviluppo 2000-2006 prevede in particolare una spesa di 43.300.000.000 per le infrastrutture di rilievo nazionale. A questo si aggiunge poi il programma speciale per creare una rete ferroviaria a Dublino, altri 22.100 miliardi di lire circa, che fanno salire a 65.400 miliardi il totale degli investimenti: più o meno il quadruplo di quanto speso nel periodo 1944-1999. Si tratta del più ambizioso programma di investimenti della storia dell’Irlanda.
SETTORI DI INVESTIMENTO
|
Investimenti in miliardi del piano 2000-2006
|
Strade |
11.560
|
Trasporti |
27.622
|
Reti idriche |
6.137
|
Edilizia Residenziale |
14.754
|
Edilizia Sanitaria |
4.918
|
Protezione coste |
851
|
Energia |
358
|
Totale
|
65.416
|
L’ultimo grafico illustra invece come il costo della manodopera in Irlanda notevolmente inferiore alla media europea.
Grafico 2.b: relativo al costo della manodopera in alcuni paesi europei, in It. Lire.
Fonte:IDA Ireland, 2000
E’ interessante a questo punto ricordare come la stessa IDA irlandese, ossia l’organo governativo preposto appunto ad incentivare l’investimento in Irlanda elenchi, tra le ragioni giustificative del successo economico degli ultimi anni, prima di tutto la forza lavoro giovane e preparata, poi l’eccellente sistema di infrastrutture pubbliche presenti, l’ambiente politico ed economico stabile e solo in ultima istanza il tasso d’imposta societaria molto basso, quasi a volerne sminuire l’importanza rispetto a tutti gli altri fattori incentivanti, che secondo la IDA esercitano quindi una attrazione maggiore di quella esercitata dal fisco.
A ciò si aggiunga che gli stessi Presidenti o Amministratori delegati delle principali multinazionali che hanno deciso di investire in questo paese, a volte anche rendendolo centro stabile della loro organizzazione [54], motivano quasi sempre l’investimento in terra irlandese riferendosi ai bassi costi del lavoro [55], all’alta competenza dei lavoratori [56] e all’impressionante sviluppo del sistema delle telecomunicazioni, senza quasi mai citare la corporate tax.
[54] “La via per servire a basso costo la clientela europea parte da un luogo unico…La Dell è stata un pioniere della tendenza a centralizzare in Irlanda la logistica europea e l’assistenza ai clienti, il che offre uno dei più bassi costi e degli ambienti di lavoro più flessibili nell’intera Europa”. Michael Dell, Presidente e Direttore Generale della Dell Computers.
[55] “Quando Whirlpool ha analizzato il mercato, tenendo in considerazione il costo del lavoro, le infrastrutture di telecomunicazione ed il mercato immobiliare, Dublino è emersa come la sede più appropriata”. Jeff Fettig Presidente per le Operazioni Europee della Whirlpool
“Aver basato a Dublino il centro delle operazioni europee della Microsoft si è dimostrata la migliore strategia che potessimo seguire. La combinazione di grandi telecomunicazioni in voce o per dati, una forza lavoro giovane e motivata, ed un eccezionale supporto governativo assicura il nostro successo anche per il futuro”. Kevin Dillon, Amministratore Delegato Centro Operazioni Europee della Microsoft
[56] “Abbiamo una forza lavora ben istruita grazie ad un sitema educativo pubblico di grande calibro ed un programma di addestramento interno alla ditta. È vitale che noi sviluppiamo, applichiamo e sosteniamo i sitemi di produzione più aggiornati per rimanere competitivi in un ambiente produttivo a livello globale. Sono pienamente fiducioso nella nostra capacità di fronteggiare la sfida”. H.J. Dittombee, Amministratore Delegato, Braun Ireland Ltd.
“L’Irlanda dà molta importanza all’educazione superiore, fornendoci i laureati di cui abbiamo bisogno nelle nostre operazioni di biotecnologia”. Robert P. Luciano Presidente ed Amministratore Delegato della Schering-Plough Corporation.
2.3.3 Il rapporto Impresa – Pubblica amministrazione in Irlanda.
Per completezza di esposizione, si riportano, in ultima analisi, i risultati emersi dalla seconda parte del primo studio considerato nel precedente paragrafo, ossia quello del centro ricerche Ernst & Young, atto ad evidenziare l’efficienza dei sistemi tributari e i rapporti tra contribuente e amministrazione finanziaria. Ci si limita a segnalare come anche sotto questo punto di vista l’ Irlanda rappresenti un validissimo modello di efficienza. Si fa riferimento in particolare a pratiche quali il “Tax rulings”, ossia la possibilità di richiedere all’Amministrazione finanziaria un parere preventivo in merito alle precise modalità di tassazione di specifiche operazioni o circa la disciplina applicabile a talune fattispecie particolari. La qual cosa non deve essere assolutamente sottovalutata, dal momento che da molti giuristi la pratica del tax ruling è, a ragione, considerata, un esempio di civiltà giuridica [57].
[57] Pratica “…in Italia praticamente sconosciuta…” . “Amministrazione & Finanza”, 1999 , n. 19 , Inserto.
A questa pratica si aggiungano altri elementi emersi anch’essi dal suddetto formulario, quale l’alto grado di stabilità dell’ordinamento giuridico relativamente alle disposizioni riguardanti la materia tributaria. Paesi, infatti, come l’Irlanda ma anche l’Olanda considerano l’ordinamento fiscale “molto stabile”, contrariamente, ad esempio, a quanto accade in Italia, dove viceversa, prevale una situazione di generale incertezza circa la concreta applicazione delle norme impositive, oggetto di frequenti cambiamenti.
Bastano questi due esempi per capire come il rapporto impresa – pubblica amministrazione in Irlanda sia estremamente soddisfacente, e questo costituisce un ulteriore punto a favore del sistema – paese Irlanda.
Grafico 2.c: Valutazione della Burocrazia per alcuni Paesi U.E. .
Fonte: IMD World Competitiveness Yearbook (1999).
2.4 Considerazioni conclusive.
Le considerazioni appena fatte, ci permettono di avere un quadro d’insieme di un paese dove, oggi come oggi, un imprenditore trova parecchie buone ragioni per compiere importanti investimenti.
In questa parte conclusiva del capitolo, in particolare, si sono volutamente evidenziati alcuni elementi sicuramente degni di nota al fine di sottolineare come vi siano molte ragioni valide per giustificare il successo economico irlandese: ingenti infrastrutture già presenti o in via di costruzione, manodopera competente, una efficace burocrazia e soprattutto uno stato attento alle moderne esigenze imprenditoriali. Tutti fattori che risultano, nei vari studi comparativi esaminati, importanti come, e a volte più, il fattore fiscale.
Peraltro alla ridotta aliquota fiscale della corporate tax va riconosciuto il grande merito di aver contribuito al primo processo di allocazione delle aziende in terra irlandese.
E’ infatti innegabile che senza la suddetta aliquota societaria e gli aiuti erogati dall’U.E., nonostante l’esistenza di condizioni socio – economiche favorevoli proprie del sistema – paese Irlanda, ben difficilmente le varie multinazionali estere avrebbero inizialmente notato e quindi scelto questo paese come propria sede. Ma non per questo si può parlare dell’EIRE come di un qualsiasi tax heaven, in quanto la logica che regola la sua politica fiscale non ha nulla a che vedere con quella dei paradisi fiscali veri e propri.
La situazione che quindi si viene delineando, è piuttosto quella di un Paese che, forte di un livello di tassazione molto basso, è riuscito non solo ad attrarre nuovi investitori stranieri, ma soprattutto a far si che questi, una volta stabilitisi in Irlanda, vi trovassero tutte le condizioni ideali per dar vita a nuovi processi produttivi.
E’ dunque legittimo ritenere che oggi, anche a fronte di un aumento delle aliquote, ben difficilmente le numerose aziende se ne potranno andare dall’Irlanda, dal momento che gli indubbi vantaggi fiscali che verrebbero a mancare, sono stati quasi totalmente compensati dalle altre variabili economiche (prima tra tutte l’alta specializzazione raggiunta dai lavoratori irlandesi). Il Governo irlandese può quindi guardare con ottimismo al futuro, senza preoccuparsi eccessivamente di eventuali manovre da parte della U.E. (a maggior regione nell’attuale contesto comunitario, dove si è visto che non sembrano esserci le condizioni per legittimare un intervento in tal senso).
A supporto della tesi appena esposta, per cui la corporate tax in questo processo di crescita non è stato così incisivo come si potrebbe ritenere, riporto alcuni dati relativi alle aziende straniere stabilitesi in Irlanda dal 1972 ad oggi. Di seguito è poi stata inserita un’ulteriore tabella che mostra l’incremento in percentuale delle aziende. Tali incrementi sono stati calcolati su sei anni per i periodi tra il 1972 e il 1990, mentre relativamente ai periodi tra il 1990 e il 1999 gli incrementi sono stati calcolati su tre e sei anni, per meglio evidenziare gli effetti dell’introduzione del regime preferenziale della ten per cent tax (applicata dal 1993) e dalla decisione di graduale riduzione dell’aliquota ordinaria della corporate tax (dal 1998).
Tab 2.c: Fonte: IDA Ireland.
Grafico 2.d: Numero di imprese straniere in EIRE. Dati sulla base della tabella 2.c.
Risulta chiaro tanto dal grafico, quanto dalle tabelle, come l’introduzione delle suddette tasse non ha inciso particolarmente sul tasso di crescita percentuale delle aziende straniere in Irlanda, che si mantiene su una media del 20%.
Grafico 2.d: Percentuale per intervallo di sei anni.
Tabella 2.d: Analisi dei dati della tabella 2.c.
Anni (Intervallo di sei anni)
|
1972 1978
|
1978 1984
|
1984 1990
|
1990 1996
|
1993 1999
|
Incrementi
|
+227
|
+156
|
+130
|
+216
|
+268
|
%
|
40,3%
|
19,7%
|
13,7%
|
20,0%
|
23,6%
|
Anni (Intervallo di tre anni)
|
1990 1993
|
1993 1996
|
1996 1999
|
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Incrementi
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+208
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+159
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+109
|
||
%
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19,3%
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14,0%
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8,5%
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