Rapporto annuale dell’ISTAT: l ’immigrazione non è in grado di compensare l’invecchiamento della popolazione e la crescita della spesa previdenziale
Stando alle informazioni contenute nel “Rapporto annuale 2006” pubblicato dall’ISTAT, il fenomeno dell’immigrazione ha senz’altro vivacizzato negli ultimi anni il quadro sociale ed economico del Paese.
La presenza straniera in Italia, meta privilegiata in Europa dei flussi migratori in entrata, ha raggiunto, alla data del primo gennaio 2006, i 2,8 milioni di persone, pari al 4,7% della popolazione residente, considerando chiaramente solo gli stranieri regolari, in possesso cioè del permesso di soggiorno (è peraltro verosimile che il numero dei cosiddetti clandestini sia anch’esso molto elevato). Le cifre evidenziano quindi come non si possa più fare a meno d’includere questo specifico fattore esogeno d’incremento della popolazione nelle valutazioni degli interventi sociali del welfare.
Peraltro la situazione italiana è del tutto peculiare, perché la cospicua entità della nostra immigrazione è stata raggiunta in tempi manifestamente rapidi, soprattutto se confrontati con quelli degli altri paesi europei, caratterizzati invece da una forte tradizione immigratoria.
Riguardo la destinazione territoriale finale degli immigrati, risultano maggiormente apprezzate le regioni centro settentrionali (preferite dall’88% del totale), e nello specifico la Lombardia , il Veneto, l’Emilia-Romagna e l’Umbria.
Inoltre, il flusso migratorio che arriva in Italia è particolarmente eterogeneo ed anche tale circostanza differenzia la nostra popolazione straniera residente da quella degli altri grandi pesi europei. Gli immigrati in Italia provengono prevalentemente da una quindicina di paesi, sparsi geograficamente su tutto il pianeta, ma un terzo del totale degli stranieri residenti ha la cittadinanza di soli tre Stati: Romania (271mila presenze), Albania (257 mila) e Marocco (240 mila).
La composizione per età degli immigrati mostra la preponderanza dei giovani è ciò si contrappone fortemente alla piramide anagrafica degli italiani, che sappiamo essere contraddistinta da un palese invecchiamento della cittadinanza. Un residente straniero su due ha un’età compresa tra i 18 ed i 39 anni (di cui il 22% è minorenne), mentre la popolazione italiana ha solo il 29% di persone in tale fascia (di cui il 17% al di sotto della maggiore età). In quattro anni i minorenni stranieri sono raddoppiati, passando dal 3 al 6% (circa 600 mila individui), anche perchè è sempre più frequente la scelta delle coppie non italiane di ricongiungersi con i loro familiari e di far nascere i loro figli nel nostro Paese.
Al di la del fatto che questo processo ha comportato in pochi anni un consistente aumento degli studenti non italiani e pertanto una notevole pressione sul sistema scolastico, quello che appare più significativo è lo studio degli effetti del palese contrasto anagrafico fra italiani ed immigrati sull’aumento dell’età media della popolazione e, conseguentemente, sulla tendenza alla crescita della spesa previdenziale.
Infatti, dal punto di vista del paese d’accoglienza, il primo prodotto dell’immigrazione è sicuramente l’incremento di capitale umano e quindi essa potrebbe essere vista, sotto tale aspetto, come un naturale ammortizzatore dello squilibrio in essere tra bassa fecondità ed alta sopravvivenza, tipico di tutti i paesi economicamente avanzati. In Italia, in particolare, c’è un rapporto tra anziani sopra i 65 anni ed attivi (tra i 15 ed i 64 anni) pari a 30 ogni 100, a fronte di un rapporto tra pensionati ed occupati pari a 71 ogni 100.
In una situazione del genere, la conclusione più facile e scontata sembrerebbe quella di vedere la quantità di immigrati regolari del nostro Paese come il redditizio serbatoio dal quale attingere, in qualsiasi momento, per sanare le carenze di un sistema previdenziale a corto di contributi ed appesantito dall’enorme mole di prestazioni da erogare.
In realtà, l’analisi dell’ISTAT consiglia di non fare troppo affidamento su questo fattore di sviluppo esterno rappresentato dalla popolazione straniera in Italia, in quanto trattasi pur sempre di una risorsa illimitata, le cui dinamiche e prospettive demografiche non permettono di avere certezze né sulla loro costanza nel tempo, né sul corrispondente apporto in termini di offerta di lavoro. Le previsioni dell’Istituto centrale di Statistica, pur includendo già 150 mila ingressi netti medi annuali dall’estero, danno un indice di dipendenza strutturale degli anziani (popolazione con 65 anni e oltre su popolazione in età 15-64) stimato a 36 nel 2020 e addirittura a 64 nel 2050. E tali risultati sarebbero sostanzialmente gli stessi anche se si rifacessero con l’introduzione nel calcolo previsionale di 200 mila ingressi annui medi, al posto dei 150 mila della prima elaborazione.
Infine, tra le conseguenze del fenomeno immigratorio, è da citare pure il problema della sicurezza. In un’altra relazione (del Dipartimento della Pubblica Sicurezza del Viminale) si legge infatti che un terzo dei denunciati (per la precisione il 36,5%) è rappresentato da immigrati, mentre, come abbiamo visto, essi costituiscono solo il 4,7% della popolazione residente in Italia. Quest’ultima considerazione non può essere trascurata nella predisposizione di misure di contrasto della criminalità, perché viviamo in un Paese che ha senz’altro tra le sue priorità quella del rispetto della legalità, come peraltro è implicitamente emerso dal recente voto amministrativo.
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