Tutti i sistemi economici di tipo occidentale devono la loro sopravvivenza e la loro stessa ragion d’essere all’esistenza di un adeguato volume di consumi, sia interno che esterno (originato dalle esportazioni). È il livello dei consumi la variabile che più di ogni altra determina lo status di un’economia, cioè il suo posizionamento sulla curva ciclica compresa tra i due tradizionali estremi della recessione (in basso) e della piena occupazione (in alto).
La spesa pubblica e privata è quindi la prima ed essenziale componente di qualsiasi politica economica. Ma mentre l’espansione della spesa pubblica ha ovvi limiti di bilancio, legati all’aumento insostenibile del deficit e del debito statale, la spesa privata delle famiglie e quella per investimenti delle imprese possono (e devono) essere modificate allo scopo di sostenere la crescita economica.
A tale proposito bisogna tenere conto dei molti fattori che influiscono sulle decisioni di spesa degli individui, ovvero sulla loro propensione a consumare o a risparmiare.
Sicuramente i consumi sono direttamente proporzionali al reddito disponibile, la cui larga disponibilità pro capite però è solo la condizione necessaria, ma non sufficiente, ad assicurare una fase di prosperità economica, a causa dell’operare del classico paradosso del risparmio.
In certi periodi economici infatti, come l’attuale, c’è una forte tendenza della collettività a risparmiare — o meglio a domandare moneta per tesorizzarla — e ciò per l’incertezza del domani. Tuttavia il paradosso vuole che quello che è un bene per la singola famiglia, non lo è affatto per l’intero sistema, dove l’eccessivo risparmio va appunto a discapito dei consumi e raffredda l’economia.
Il fattore cruciale della spesa e componente fondamentale di un virtuoso circuito economico è sempre, a ben vedere, la fiducia degli operatori, cioè le loro aspettative sul futuro.
In Italia sono molti gli elementi ad incidere negativamente sul clima di fiducia dei consumatori ed a qualificarsi pertanto come “riduttori” di consumo. Tra questi, solo per citare quelli “strutturali”, possiamo ricordare i cambiamenti demografici, quali per es. l’invecchiamento della popolazione e la riduzione di numerosità dei nuclei familiari, e le caratteristiche peculiari del mercato del lavoro, in cui la precarietà, la flessibilità e l’insicurezza segnano inevitabilmente i programmi di spesa dei lavoratori, soprattutto di giovane età.
In tale contesto esiste di conseguenza un’unica tipologia di intervento pubblico in grado d’incrementare i consumi, agendo al contempo anche sul miglioramento delle aspettative dei componenti la società: la politica fiscale.
È proprio per questo motivo che la riduzione delle imposte è stata la magnifica ossessione sia del governo Berlusconi, sia dell’attuale esecutivo di Romano Prodi.
Solo un ampio, stabile e convincente calo della pressione fiscale può garantire nel nostro paese, attraverso il conseguente aumento del reddito pro capite, una maggiore propensione al consumo e, soprattutto, una fiducia nel futuro idonea di per sé a mantenere nel tempo il nuovo livello delle spese, così da avviare una spirale espansionistica capace di autoalimentarsi.
La chiave di lettura della finanziaria in discussione alle Camere è quindi rintracciabile per l’appunto nella volontà di far percepire agli individui questa tendenza, per adesso invero abbastanza sottile, all’abbassamento delle tasse, come premessa indispensabile alla creazione di una, ormai dimenticata, fiducia tra i contribuenti.
Le tracce in questa direzione sono evidenti e sono rappresentate dai numerosi provvedimenti con cui s’intende, a volte solo formalmente e non nella sostanza, contenere l’imposizione fiscale. Provvedimenti che, ingiustificati nell’ottica dell’obiettivo di azzeramento del deficit, trovano senso e spiegazione nella speranza di generare aspettative positive negli italiani.
Ne sono esempi, in particolare, la nuova detrazione prevista per l’ICI, il taglio di 5,5 punti dell’IRES (l’imposta sulle società di capitali), la sforbiciata all’IRAP (dal 4,25% al 3,9%) e l’innovativo regime forfetario di tassazione, di sicuro interesse per molti contribuenti.
Tutti interventi tesi pertanto ad innalzare permanentemente i consumi (dei privati e delle imprese per investimenti), anche se gli effetti della maggior parte di essi sono parzialmente compensati dalle contromisure di bilanciamento (allargamenti della base imponibile, massimali di reddito, ecc…), adottate al fine di non compromettere oltremodo i già precari equilibri del bilancio pubblico.
0 commenti