Il dilemma di Trichet: assecondare il mercato o imporre l’inversione di tendenza?
Prima o poi la BCE sarà costretta a fare quello che finora non ha voluto fare, cioè a tracciare la rotta dei tassi di interesse nell’area UE. Non potrà più sottrarsi al compito (che le è proprio) di indicare la direzione verso cui sta andando una certa parte dell’economia europea. Dovrà smettere quel suo attuale comportamento di continua procrastinazione delle decisioni, che suona in ultima analisi come un blando temporeggiamento in attesa di eventi più facilmente inquadrabili dal punto di vista finanziario e di maggior supporto all’azione di politica monetaria. Quando la BCE si renderà conto che non è sufficiente iniettare liquidità nel sistema per risolvere problemi sostanziali e profondi, come per esempio quelli legati all’impossibilità per molte famiglie di sostenere oneri finanziari sempre più gravosi, allora una correzione del tasso di riferimento sarà, per essa, inevitabile.
La domanda vera è un’altra: qual è l’indirizzo che, attraverso la variazione del TUR, vorrà dare al sistema? Non è cosa di poco conto conoscere, soprattutto per il nostro paese, se l’Europa, per ipotesi, si allineerà alla politica USA espressa dalla Fed (di forte ribasso dei tassi di interesse) o se, viceversa, se ne discosterà, orientandosi verso una crescita dell’intera struttura dei tassi.
Ad ognuna di queste possibilità consegue una sostanziosa e diversa serie di conseguenze, di fondamentale importanza per tutti i cittadini europei e per gli italiani in particolare, data la nostra delicata situazione politica e le precarie condizioni economiche in cui molti italiani vivono a causa dell’elevato indebitamento contratto con le banche. E’ per tutti questi motivi che le decisioni di Trichet sono sempre attese con molta trepidazione dagli operatori, il quali finora sono rimasti amaramente delusi dalla sua spiccata inclinazione a non decidere. Peraltro, in un periodo come quello contingente, caratterizzato dalle bufere subprime e dal caro-mutui, ogni non decisione è sicuramente una cattiva decisione. E ciò a maggior ragione all’interno di un contesto in cui, non solo è difficile capire il reale andamento del mercato, ma è quasi impossibile fare delle scelte che scontino corrette aspettative sulle variabili fondamentali dell’economia.
Perché siamo di fronte ad un momento decisivo, ad un passaggio di particolare rilievo per il sistema economico?
Per comprendere appieno la situazione e fornire una risposta a questo interrogativo, bisogna prima di tutto ricordarsi quali sono gli obiettivi e gli strumenti della politica monetaria attribuita alla BCE e poi delineare gli scenari che presumibilmente si apriranno nell’un caso o nell’altro, ovvero nell’eventualità di riduzione o di aumento dei tassi di interesse.
L’obiettivo principale della BCE è il mantenimento della stabilità dei prezzi. Così recita l’art. 105 del Trattato di Maastricht, la cui formulazione ha nondimeno attirata qualche giusta critica, a motivo del fatto che il perseguimento, da parte dell’autorità monetaria centrale, della sola riduzione dell’inflazione ha nella contemporanea società globalizzata una portata estremamente limitata, se non viene associato all’altro strategico obiettivo del pieno impiego delle risorse.
Il raggiungimento del suddetto risultato all’interno dell’unione è stato esplicitato dal Consiglio direttivo della BCE attraverso due obiettivi intermedi, che sono la definizione quantitativa del concetto di “stabilità dei prezzi” e l’individuazione del valore di moneta cui fare riferimento per attuare i provvedimenti di natura finanziaria.
Il primo obiettivo intermedio è stato definito fissando al 2% l’aumento massimo, sui 12 mesi, dell’indice armonizzato dei prezzi al consumo (IAPC). Il secondo ha avuto la sua esplicitazione con la scelta dell’aggregato M3 quale valore di riferimento per la politica monetaria. Aggregato che comprende il circolante, i depositi, le quote di fondi di investimento monetario e i titoli di debito emessi dalle Istituzioni riconosciute.
Tra gli strumenti a disposizione della BCE, oltre le operazioni di mercato aperto, il più importante è senz’altro quello di fissazione del TUR, tasso di riferimento interbancario, che ha sostituito il vecchio tasso di risconto con cui le Banche centrali (Bankitalia compresa) rifinanziavano il sistema bancario. Attraverso il TUR la BCE ha il potere di convogliare i tassi verso la direzione desiderata, in quanto tutta la struttura europea dei tassi di interesse fa riferimento al TUR della Banca centrale dell’area UE. Ma è davvero così? Mai come in questo momento si comprende come la politica monetaria fondata sulla variazione del TUR sia inefficace. Ciò è il risultato di una radicale trasformazione storica della manovra sul TUR, che, da strumento attivo di indirizzamento dell’economia, è divenuto un semplice indicatore passivo di come il sistema sta andando autonomamente. In altre parole mentre una volta erano gli operatori ed il sistema finanziario a fare riferimento alle oscillazione del tasso europeo pubblicato dalla BCE, scontando nelle loro decisioni l’entità dello stesso, adesso è lo stesso TUR a tenere conto nelle sue variazioni dell’andamento impresso all’economia dagli operatori finanziari. La scommessa che pertanto la Banca centrale europea dovrà necessariamente fare consiste nel riportare la manovra del TUR agli allori di un tempo, cercando di foggiare con essa il sistema economico, allo scopo di frenare la crescita in atto dei tassi di interesse e non soffocare di conseguenza i consumi.
D’altro canto, che la situazione sia un po’ confusa lo dimostra anche il linguaggio usato dagli analisti. Si parla di stretta creditizia riferendosi all’auspicata politica al ribasso dei tassi, quando invece, da manuale, la stretta creditizia si ha nel caso di aumento dei tassi di interesse. Il lapsus è giustificato dalla situazione finanziaria particolare in cui ci troviamo: l’aumento del costo del denaro andrebbe infatti ad aumentare la liquidità ed a imprigionare oltremodo i consumi, dato l’indebitamento delle famiglie, portando, per questa via, alla recessione economica, mentre in una situazione economica tradizionale (di scuola) la variazione dei tassi di interesse è collegata agli investimenti delle imprese, il cui contenimento (recessione) è provocato dall’aumento (stretta) dei tassi di interesse e quindi dal maggior costo del loro finanziamento.
A questo punto è chiaro che una graduale crescita dei tassi sul mercato europeo sarebbe devastante per il sistema economico: ai minori investimenti in capitale da parte delle imprese, si aggiungerebbero (almeno in gran parte dei paesi, Italia in prima linea) gli effetti deleteri sui precari bilanci familiari, già messi a dura prova dagli attuali indebitamenti, a tassi variabili, verso il sistema bancario. La recessione causata dal crollo dei consumi diventerebbe pertanto una drammatica realtà.
Viceversa, una possibilità di fuga da tale inquietante scenario è rappresentato da un ribasso dei tassi di interesse, il quale, pur comportando un aumento di liquidità nei portafogli (e comunque un rialzo dei prezzi), se non altro per il fattore incertezza, eviterebbe però la caduta dei consumi. Questi ultimi sono pertanto, al momento, la grande variabile su cui si gioca la partita del tipo di ciclo economico (crisi, stabilità o ripresina) che ci aspetta nell’immediato futuro.
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