La riforma delle pensioni
Articolo sulla riforma delle pensioni; vengono comparati i nuovi requisiti con quelli della riforma Maroni

da | 24 Lug 2007 | Società | 0 commenti

La riforma delle pensioni

– il punto di svolta del governo Prodi –

Sulla riforma delle pensioni, alla fine, il Presidente del Consiglio Romano Prodi è riuscito a districarsi tra il fuoco incrociato, riuscendo ad estrarre dal cilindro l’ennesima prova di ingegneria diplomatica, ovvero la riforma previdenziale che supera il famigerato “scalone” di Maroni. La soluzione è stata giudicata “un buon accordo” da quasi tutte le parti (rimangono scettici solo alcuni esponenti del Pdci, che però sembra abbiano comunque benedetto il nuovo progetto normativo).

Lo strappo del Ministro Emma Bonino è stato solo l’ultimo e più vistoso episodio del tiro alla fune che da mesi è in atto tra le esigenze del paese da una parte e le richieste della sinistra radicale, spesso inconciliabili con le predette esigenze, dall’altra.

In particolare, sulla questione delle pensioni sono ormai evidenti a tutti le difficoltà incontrate dal premier per soddisfare, ancora una volta, le diverse forze politiche e sindacali, con l’ulteriore precisazione, non da poco, che mentre alcune di esse hanno fatto pressioni avendo come unico obiettivo il bene comune, le altre hanno premuto per interessi più particolari, oseremmo dire ideologici, ignorando palesemente i vincoli insormontabili rappresentati dai conti dello stato.

Ed è proprio in questa continua ricerca da parte di Prodi di un costante (e precario) equilibrio sui provvedimenti, soprattutto su quelli epocali come le pensioni, che va individuata la peculiarità e la debolezza dell’attuale esecutivo. Con il risultato, non certo confortante, che, in virtù di tale ricerca dell’equilibrio politico, la versione definitiva delle disposizioni emanate è in genere frutto di compromessi e concessioni, i quali, lungi dal costituire un equo e giusto traguardo della dialettica sociale, costituiscono piuttosto il solito guazzabuglio legislativo, per di più geneticamente privato di quegli effetti diretti ed innovativi che invece gli autori avrebbero voluto attribuire alle norme.

Proprio la riforma delle pensioni ha espresso al meglio la necessità per l’ “ingegnere” Romano Prodi di quadrare, in ogni occasione, il cerchio con le parti politiche e sociali, perché di tutte le materie importanti sulle quali si è legiferato, quella previdenziale è stata storicamente una delle più indicative della “variabilità” dell’interesse pubblico in funzione delle rivendicazioni di parte.

Il riferimento è alla riforma delle pensioni di Dini (la l. 335/95) del lontano 1995, con la quale si cambiò profondamente il meccanismo di calcolo, passando dal sistema retributivo a quello contributivo.

Le vicende di questa riforma sono a dir poco esemplari. Presentata una prima volta da Dini quale titolare del dicastero del Tesoro nel primo gabinetto Berlusconi fu fortemente attaccato dall’opposizione di sinistra.

Di questa proposta di legge non se ne fece niente per l’improvvisa caduta del governo di Berlusconi, ma Lamberto Dini ripresentò il medesimo disegno di legge, con qualche piccola modifica, ma invariato nella struttura di base, in qualità di capo dell’esecutivo tecnico che seguì alla crisi della maggioranza di centro-destra.

La riforma Dini fu approvata con il voto favorevole della sinistra, la stessa sinistra che l’aveva poco prima criticata, la quale in quel periodo appoggiava il governo tecnico presieduto dall’ex Ministro del Tesoro di Silvio Berlusconi.

La seconda modifica previdenziale di un certo rilievo è poi avvenuta con l’intervento del Ministro del Lavoro Maroni durante il secondo governo Berlusconi.

Essa ha introdotto il famoso scalone (il diritto di andare in pensione al compimento, nel 2008, di 60 anni e non più di 57), che adesso si è voluto per forza modificare (tramite un sistema a “scalini”, anzi, stando alle ultime notizie, per “quote”), ma che in realtà all’attuale Ministro Padoa-Schioppa non dispiaceva affatto, perché generatore di un grosso risparmio nei conti pubblici.

Così Prodi ha messo insieme un disegno di riforma che, in un ipotetico termometro alle cui estremità si pongono le richieste provenienti da una parte (identificabile con il Ministro Tommaso Paolo Schioppa, per il quale il provvedimento è “a costo zero”) e quelle provenienti dall’altra (identificabile con i sindacati e la sinistra radicale), si situa all’incirca a metà strada, evidenziando quindi che la soluzione adottata dal premier è del “tipo ONU”, che cioè accontenta (e scontenta) in eguale misura tutte le forze in campo.

Passando all’analisi del contenuto, come si può leggere nella tabella che abbiamo preparato, i lavoratori dipendenti potranno andare in pensione dal primo gennaio 2008 con 58 anni d’età e 35 di contribuzione, mentre dal primo luglio 2009 occorrerà avere “quota 95”, ovvero una somma tra anni di età e contributi almeno pari a 95, ma con un’età anagrafica minima di 59 (con 35 anni di contributi). Poi, dal primo gennaio 2011, la quota passa a 96, con un minimo di età di 60 e sempre 35 anni di contributi, per arrivare a 97 dal primo gennaio 2013, con un’età minima di 61 (più i soliti 35 anni di versamenti contributivi).

Per i lavoratori autonomi lo schema di requisiti minimi, di quota e di età, è aumentato di un anno.

Inoltre, un’apposita commissione studierà la possibilità di aprire dal 2008 quattro finestre anziché due per coloro che hanno maturato 40 anni di anzianità contributiva. La stessa commissione provvederà, entro il 2008, alla revisione dei coefficienti di calcolo del montante contributivo, la cui applicazione è stata rinviata al 2010.

Pensione di anzianità

x lavoratori dipendenti

Situazione precedente

(riforma Maroni)

Riforma Prodi
anno
anni di contribuzione
età anagrafica
anni di contribuzione
età anagrafica
Fino al 2007
35
57
35
57
2008
35
60
58 (età) e 35 (contributi), poi dal 1°luglio 2009 quota 95 (somma età e contributi) con un minimo di 59 d’età e 35 di contributi
2009
35
60
2010
35
61
2011
35
61
Quota 96 (somma età e contributi) con un minimo di 60 d’età e 35 di contributi
2012
35
61
2013
35
61
Quota 97 (somma età e contributi) con un minimo di 61 d’età e 35 di contributi
Dal 2014
35
62
In alternativa
40
qualsiasi
Da definire la possibilità di pensionamento per chi può vantare 40 anni di contribuzione
Solo per lavori usuranti (agli attuali lavori classificati usuranti si aggiungeranno, con la riforma, altri tipi di lavoro, con un aumento della platea degli lavoratori interessati).
Anticipi sulla data di pensionamento in proporzione degli anni lavorati
35
57

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