C’era una volta un tipo di contratto di lavoro che instaurava tra l’azienda (detta committente ) ed i prestatori d’opera uno speciale rapporto denominato di “collaborazione coordinata e continuativa” (anche detto co.co.co ), il quale permetteva l’assunzione dei lavoratori non in forma subordinata, ma, come si è poi chiamata con apposito neologismo, “parasubordinata”.
La distinzione non era (e non è) di poco conto, perché la fondamentale caratteristica dei co.co.co è appunto l’autonomia posseduta, ovvero la dipendenza non gerarchica verso l’impresa committente, a differenza del classico rapporto subordinato che lega il personale al datore di lavoro, con una serie di conseguenze importanti, fra cui p.es. quella per la quale il collaboratore non è tenuto ad osservare l’orario di lavoro aziendale, ma può organizzare in completa libertà il proprio servizio, pur nel rispetto delle direttive generali impartite dal committente.
Questa forma di lavoro, o meglio di collaborazione tra impresa e parasubordinati, ha riscosso un elevato successo contrattuale, a motivo del fatto che richiedeva, inizialmente, pochi adempimenti burocratici per l’assunzione del collaboratore e lo svolgimento della sua attività, ma soprattutto perché era poco costosa per l’azienda committente, in termini di contributi previdenziali ed assicurativi da versare.
Purtroppo, come spesso accade nel nostro Paese, di tale tipologia di lavoro è stato fatto subito un evidente abuso da parte di molte aziende, che l’hanno utilizzata impropriamente per assumere lavoratori da inserire nel proprio organico come normali dipendenti, anziché come collaboratori autonomi, occultando di fatto sotto il velo dei contratti di co.co.co gli ordinari rapporti di lavoro subordinato.
Anche per ovviare al suddetto uso scorretto del nuovo istituto contrattuale, la riforma Biagi ha trasformato gran parte delle co.co.co in contratti di “lavoro a progetto”, i cui principali elementi costitutivi possono essere riassunti nei seguenti:
- esistenza di un progetto;
- fissazione di un termine finale;
- aumento degli adempimenti e del costo dei collaboratori a progetto.
Riguardo il primo aspetto, la redazione del progetto dovrebbe assicurare, nelle intenzioni del legislatore, la sussistenza delle caratteristiche tipiche del lavoro autonomo, incompatibili con la subordinazione, perché nel progetto devono essere indicati l’oggetto dell’attività del collaboratore e le modalità di esecuzione dell’opera o del servizio, nonché del coordinamento tra le parti. In tale contesto appare chiaro come il progetto, sulla base del quale è stipulato il contratto di collaborazione, non può che portare ad un risultato certamente connesso all’attività principale dell’impresa, ma mai totalmente coincidente con essa.
La fissazione del termine finale nel contratto a progetto serve a dare ulteriore valenza alla durata di una specifica attività produttiva del committente e quindi ad uno specifico risultato che con il contratto stesso s’intende raggiungere.
Il passaggio dai semplici co.co.co ai lavori a progetto non è però rimasto indenne dall’aumento degli oneri a carico dei committenti per la formalizzazione dell’incarico di collaborazione, né dalla notevole crescita del costo dei contributi previdenziali, togliendo di fatto a questo istituto lavorativo il forte appeal che esso aveva in precedenza.
Evidentemente però anche la nuova forma di lavoro a progetto ha prodotto qualche inconveniente, sostituendosi illegittimamente ai normali rapporti di lavoro subordinato, tant’è che l’ultima Finanziaria ha previsto una sorta di condono per i committenti che hanno impropriamente stipulato contratti di collaborazione in luogo di altri rapporti di lavoro dipendente.
La “stabilizzazione” delle collaborazioni coordinate e continuative è attivabile dai committenti entro il 30 aprile 2007 e comporta la trasformazione della collaborazione stessa in un contratto di lavoro subordinato, a tempo indeterminato o (sussistendone i requisiti) determinato.
A tal fine è necessario un accordo con le rappresentanze sindacali aziendali o territoriali e la conclusione, con i singoli lavoratori interessati, di atti di conciliazione individuali, mediante i quali i lavoratori stessi rinunciano alla rivendicazione di qualsiasi diritto di natura retributiva e contributiva per tutto il periodo di lavoro intercorso.
Il committente deve inoltre versare alla gestione separata INPS un contributo straordinario integrativo pari alla metà della quota di contribuzione a suo carico per il periodo di vigenza della collaborazione. Pertanto, presso la sede competente dell’INPS andranno depositati l’atto di conciliazione, il nuovo contratto di lavoro subordinato e l’attestazione di avvenuto pagamento di un terzo del totale dovuto, mentre il residuo potrà essere versato dal committente in trentasei rate mensili senza interessi.
Per il datore di lavoro i vantaggi della regolarizzazione in sanatoria consistono nell’estinzione dei reati previsti dalle leggi speciali per l’omesso versamento di contributi ed imposte, nella preclusione da accertamenti ispettivi di natura fiscale o contributiva per il periodo interessato e nella cessazione degli effetti di eventuali provvedimenti amministrativi o giurisdizionali già iniziati e relativi al rapporto di lavoro pre-conciliazione.
L’augurio è quello che si riesca, in forza delle norme indicate, a ricondurre nell’ambito del normale rapporto di lavoro subordinato i tanti collaboratori che prestano la propria opera in modo gerarchico, come qualsiasi altro lavoratore subordinato, ma sulla base di un contratto formalmente a progetto e con una remunerazione conseguentemente più ridotta.
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