Questo studio vuole dimostrare come la piaga del lavoro nero non abbia ragione d’essere, perché il vantaggio monetario di pagare il salario fuori busta (magari a lavoratori mai regolarmente assunti) è inferiore al forte risparmio fiscale risultante dall’aumento dei costi d’esercizio per il personale dipendente.
Il motivo per cui alcuni datori di lavoro, di scarsa e vecchia mentalità, pagano stipendi e salari in nero o fuori busta (cioè senza che questi risultino in contabilità, a volte addirittura assumendo irregolarmente i propri lavoratori) è molto semplice: ritengono che così facendo risparmiano i contributi previdenziali (oneri INPS) e assistenziali (INAIL) che altrimenti sarebbero costretti a versare periodicamente ai relativi Enti.
Niente di più sbagliato.
Dimostreremo che il risparmio ottenuto con il lavoro in nero è fittizio, perché si risparmia di più, anche molto di più, versando i dovuti contributi e diminuendo conseguentemente il reddito d’impresa dell’importo corrispondente a questi stessi contributi ed all’intero salario pagato ai lavoratori (che in caso contrario – ovvero di lavoro irregolare – non potrebbe essere dedotto dal reddito).
Per controllare la correttezza della nostra tesi, consistente, lo ripetiamo, nella maggior convenienza per l’impresa derivante dalla regolarità retributiva (e contributiva) dei suoi lavoratori, assumiamo delle ipotesi:
a) il “peso” dei contributi previdenziali ed assistenziali è pari al 40% dello stipendio lordo. Si tratta di una quantificazione molto verosimile ed anzi, in alcuni settori economici, è anche stimata per eccesso, essendo questa intorno al 35%
b) le imposte prese in considerazione per calcolare il risparmio fiscale sono
1) l’Ires e l’Irap, per le imprese sotto forma di Srl, Cooperativa e SpA
2) l’Irpef, l’Irap e le addizionali regionali e comunali, per tutte le altre imprese (Ditte individuali, Snc, Sas ed Imprese familiari)
c) in particolare si è quantificato all’1% il carico complessivo delle 2 addizionali (regionale e comunale), mentre si è applicata l’Irap del 3,9% sullo stesso reddito imponibile delle altre imposte, decurtato eventualmente solo degli oneri contributivi ed assistenziali.
Non si è tenuto conto neanche delle detrazioni fiscali ai fini Irpef e delle deduzioni Irap per lavoro dipendente.
Si tratta di semplificazioni, è vero, ma riteniamo che esse non incidano più di tanto sui risultati ottenuti, soprattutto in considerazione del fatto che i segni algebrici di tali semplificazioni sono di entrambi i tipi e pertanto le differenze tendono a compensarsi
Cominciamo subito dal confronto tra il lavoro in nero ed il risparmio fiscale del lavoro regolare.
Ricordiamo che il risparmio fiscale attribuito alle singole imprese, confrontato con quello da lavoro nero, deriva dalla possibilità di dedurre dal reddito d’impresa i costi del personale (stipendio lordo + contributi) regolarmente contabilizzati.
Confronto % del risparmio |
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Lavoro nero |
Srl, Cooperatrive e SpA |
Ditte individuali, Snc, Sas e Imprese familiari |
||||
1° scaglione Irpef |
2° scaglione Irpef |
3° scaglione Irpef |
4° scaglione Irpef |
5° scaglione Irpef |
||
40,00 |
40,06 |
35,16 |
40,76 |
56,16 |
60,36 |
63,16 |
Come si vede dalla tabella e dal grafico, per 100 euro di stipendio in nero pagato il risparmio fiscale è sempre superiore alle 40 euro di minori uscite per il pagamento dei lavoratori in nero, tranne nel caso di imprese individuali e società di persone (Snc e Sas) con una tassazione rientrante nel 1° scaglione Irpef, ovvero con un reddito aziendale imponibile non maggiore di 15.000 euro.
Questa apparente maggior convenienza del lavoro in nero per le imprese a basso reddito necessita di alcuni importanti chiarimenti che, di fatto, vanificano il vantaggio fiscale esposto in tabella:
a) innanzitutto, come abbiamo detto, non abbiamo considerato per l’Irap le deduzioni previste per i lavorato assunti, le quali sono state appositamente introdotte proprio per rendere più appetibile la regolare assunzione dei dipendenti e quindi per incentivare il mercato del lavoro.
Queste deduzioni, anche di notevole entità, rendono in molti casi fortemente vantaggiosa l’uscita dell’azienda dall’economia sommersa in cui si trova per l’irregolare tenuta dei suoi lavoratori
b) considerando le deduzioni Irap rimangono pochi casi in cui permane il vantaggio del “nero”, ma tale vantaggio è di 1 o 2 punti percentuali e pertanto si traduce – ad es. con dei costi sommersi per il personale pari a € 10.000 – in circa 200 euro l’anno.
Poca cosa per sopportare il grosso rischio di una denuncia sindacale per irregolarità contributiva o peggio ancora per sfruttamento del lavoratore, il cui costo economico sarebbe di gran lunga maggiore
c) inoltre, tutti i casi apparentemente a favore del lavoro nero riguardano situazioni in cui il lavoratore guadagnerebbe di più o poco meno del suo datore di lavoro (perlomeno di quanto da questi dichiarato) e ciò è chiaramente inverosimile.
Nell’eventualità poi che tale situazione corrispondesse al vero, allora i problemi dell’impresa sarebbero ancora maggiori e di estrema gravità, nonché di difficile soluzione
d) infine, se a conti fatti rimanessero comunque ulteriori casi di convenienza a delinquere (ovvero a pagare i lavoratori in nero) per redditi inferiori ai 15.000 euro, ci si potrebbe chiedere
vale la pena per poche centinaia di euro di risparmio rischiare denunce, contenziosi, ricatti sindacali e ritrovarsi a pagare sanzioni e risarcimenti molto – ma molto – più gravosi di quanto si è illegalmente trattenuto?
Volendo buttare giù qualche cifra del grande risparmio che si ottiene rispettando la legislazione sul lavoro, i seguenti grafici sono sufficientemente esplicativi.
Prendono in considerazione le ipotesi di un costo del personale pari rispettivamente ad € 10.000, € 30.000 e 50.000 euro.
In conclusione, pur nell’eventualità di una esposizione dei dati non sempre precisissima, è evidente che pagare salari in nero non è conveniente. E se lo è in prima battuta non lo è più se si considerano i danni, economici e non solo, derivanti da un comportamento contrario alla legge.
Pertanto il messaggio che da queste pagine si vuole lanciare alle imprese è questo:
regolarizzate i vostri lavoratori ed uscite da quella mostruosità che è l’economia sommersa del lavoro, con tutte le sue innumerevoli ed inquietanti sfaccettature.
Forme di contratto come quelle del lavoro a progetto, dello stage, dell’apprendistato, ecc… sono spesso oggetto di forzature e come tali non rispondenti alla sostanza del lavoro prestato. Chi le compie si rende responsabile di fronte alla legge quanto chi assume e paga in nero.
Rispettare la legge conviene: non si rischiano le giustissime sanzioni previste in Italia dalla legislazione del lavoro e non si fa la figura degli inetti, retrogradi, taccagni e sfruttatori.
Lavoro part time in un azienda, poi lavoro nero presso un s.a.s da 13 anni cosa posso se gli faccio una vertenza