Esiste un parametro inconfutabile per misurare la tendenza dei tassi di interesse: l’Euribor.
L’andamento del tasso di interesse medio delle transazioni finanziarie tra le principali banche europee non può infatti essere smentito. Esso ha ormai assunto il ruolo di indicatore standard per misurare il costo del denaro a breve e quindi il “prezzo” da pagare sui mutui.
L’Euribor a un mese (è un indice calcolato su varie durate) ha fatto recentemente un balzo improvviso in avanti di oltre mezzo punto percentuale, assestandosi intorno al 4,9%.
Gli esperti hanno fornito varie spiegazioni per questa inaspettata impennata, ma al di là delle disquisizioni tecniche rimane il fatto che le famiglie controparti di un prestito bancario vedranno crescere in dicembre 2007 la loro rata variabile di una percentuale oscillante tra il 2 ed il 7% rispetto al mese precedente (elaborazione de “Il Sole 24 Ore”). Sviluppando tale ultima variazione su un prestito ipotetico erogato a novembre 2005, le famiglie italiane sosterranno tra poco un costo per interessi superiore a quello iniziale di circa 30 punti percentuali per un mutuo di durata ventennale.
È evidente che la situazione sta diventando insostenibile. Mentre da una parte i prezzi delle case sono particolarmente vischiosi a scendere e rimangono a livelli troppo alti, nonostante il calo delle compravendite, dall’altra si verificano una serie di eventi che gettano inequivocabilmente le basi per una grave recessione generale: scende la domanda di mutui per l’acquisto della casa (a causa dell’aumento di tutti i tassi, anche fissi), cresce la consistenza di quelli nuovi e la loro durata media, ritorna di moda il tasso fisso, si finanzia una percentuale sempre più alta del valore dell’abitazione e, soprattutto, accelerano le esecuzioni immobiliari (pignoramenti ed ipoteche legali) a carico dei mutuatari inadempienti.
In una situazione così fragile, ogni ulteriore aumento dei tassi di interesse allarga il numero delle famiglie in situazione di disagio finanziario, imponendo agli organi competenti l’adozione di adeguate contromisure.
La domanda da porci a questo punto è infatti solo una: cosa fare per contrastare la disastrosa tendenza al rialzo del costo del denaro?
La risposta sta nella lettera aperta scritta dall’economista Erik F. Nielsen, con la quale il dirigente della Goldman Sachs ha invitato un riluttante Jean Claude Trichet a tagliare i tassi in Europa, sulla scia della stessa politica annunciata per gli USA dal Presidente della Fed, Ben Bernanke.
Il messaggio è chiaro: la BCE deve attuare al più presto una politica monetaria restrittiva allo scopo di contrastare la crescita dei tassi di interesse ed evitare così la frenata dei consumi e quindi dell’economia nel vecchio continente.
Tuttavia vari ostacoli si frappongono a quest’obiettivo, al quale la Banca Centrale Europea dovrà quanto prima adeguare la sua azione, e per comprenderli occorre richiamare il ruolo della politica monetaria basata sul TUR (Tasso Ufficiale di Riferimento).
Il TUR è l’erede di quel Tasso Ufficiale di Sconto (TUS) che la Banca d’Italia utilizzava (fino al 31 dicembre 1998) per concedere prestiti alle banche. Per cui, attraverso il meccanismo dei finanziamenti al sistema bancario, la Banca centrale italiana (così come le altre Banche centrali europee) poteva spingere la struttura dei tassi di interesse verso il basso (politica monetaria espansiva) o verso l’alto (restrittiva).
Successivamente il TUS è stato sostituito dal TUR, pur continuando quest’ultimo ad essere fissato da Bankitalia, sulla base del tasso determinato periodicamente dal Consiglio direttivo della BCE.
Dal primo gennaio 2004 il TUR è passato ufficialmente alla Banca Centrale Europea, la quale lo decide secondo le esigenze della politica monetaria dell’area euro e tenendo presente l’obiettivo principale ad essa demandato: il mantenimento della stabilità dei prezzi.
Il compito della BCE non è però di facile realizzazione. È da rilevare infatti che già da molto tempo il TUS (e adesso il TUR) ha perso il suo iniziale significato, differentemente da quanto si legge sui libri di scuola. Non più strumento attivo di condizionamento dei tassi di interesse, mediante il canale di rifinanziamento delle esigenze di liquidità delle banche, ma strumento passivo di “assecondamento” delle naturali tendenze del mercato dei capitali e, quindi, semplice portatore della funzione di “segnalazione formale” della direzione verso cui stanno andando (da soli) i tassi del sistema.
Ciò a causa dell’ormai venuta meno necessità per le banche di ricorrere alla liquidità a carico, sotto varie forme, della Banca centrale. Anzi un’efficiente gestione bancaria impone l’assoluta autosufficienza finanziaria: guai alla banca che non disponesse di riserve proprie per far fronte agli impegni monetari con la clientela.
Pertanto, attualmente la manovra del Tasso Ufficiale di Riferimento ha solo la mansione di “annuncio”, per orientare quelle aspettative degli operatori sull’andamento futuro dei tassi di mercato molto spesso già ampiamente formate e consolidate.
Adesso, la scommessa della Fed e, prossimamente, della BCE è quella di far ritornare la politica monetaria fondata sulla variazione del Tasso Ufficiale ad avere una funzione attiva e propulsiva sulla direzione al ribasso del costo del denaro, cercando di invertire la tendenza endogena del sistema che va invece verso la crescita dei tassi di interesse.
Ci riuscirà?
Sarà capace la BCE di porre in essere un’efficace stretta creditizia a vantaggio delle famiglie indebitate o che intendono prossimamente indebitarsi, evitando così di soffocare i consumi?
Dalla risposta a questi interrogativi dipende, purtroppo, il futuro di molti italiani.
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