Negato accesso Università al Papa
Un commento sulla mancata conferenza del Papa all'Università degli studi di Roma

da | 24 Apr 2008 | Società | 0 commenti

Le vicende politiche del Governo e della cessata legislatura potrebbero far passare in secondo piano il sostanziale rifiuto, imposto a Papa Benedetto XVI, di parlare presso l’Università degli Studi di Roma “La Sapienza”, in occasione dell’inaugurazione del nuovo anno accademico.

Si tratta invero di un atto vergognoso, senza precedenti, che non solo parifica l’Italia ad una qualunque nazione in guerra del terzo mondo (ove il Pontefice non potrebbe andare per i rischi alla sua incolumità), ma distrugge la credibilità internazionale del paese, e molto più di quanto già stiano facendo le immagini televisive dell’immondizia campana (e delle giuste proteste che ne conseguono).

Inoltre, il secco diniego al discorso papale di una parte (speriamo minoritaria) dei Professori del principale Ateneo capitolino – sotto forma di occupazione delle aule, in contestazione alla presenza papale – apre, anacronisticamente, ferite profonde, che tutti credevamo ormai dimenticate. Ferite legate a quella mancanza di dialettica e di confronto sensato, basato sul rispetto, che ha caratterizzato, purtroppo, gli anni più bui della storia italiana contemporanea. Per l’uomo comune (e per la stampa internazionale) sono del tutto incomprensibili i motivi che hanno di fatto spinto a negare al Capo della Chiesa cattolica l’ingresso all’Università, per tenere il suo discorso ad ascoltatori (professori e giovani studenti) che, volontariamente, avrebbero ascoltato con interesse il messaggio apostolico, magari trovandolo pure piacevole e condivisibile.

Cercare di esplorare le motivazioni di questi docenti, dichiaratisi per ciò stesso dissidenti rispetto al Rettore ed ai vertici universitari che il Papa avevano invece invitato, porta indietro nel tempo, addirittura a quel medioevo in cui scienza e fede erano necessariamente in contrasto. Lo erano perché al credo irrazionale nei dogmi della fede si contrapponevano, giustamente, la ragione e la sperimentazione scientifica con i suoi dati inconfutabili. Non per niente è stato scomodato perfino Galileo, per ricordare che la scienza, alla fine, corregge la fede, e quindi la scienza è laica.

E chi lo mette in dubbio? Non certo la Chiesa, la quale ha già ammesso le sue colpe sulla vicenda Galileo (sia pure con qualche secolo di ritardo, e con quell’uomo incredibile che è stato Papa Giovanni Paolo II) e su tutti gli aspetti più infamanti di cui essa si è resa responsabile nella lunga storia dell’umanità. Ormai nessun uomo di Chiesa si sognerebbe di negare la verità per la quale l’epoca storica comunemente definita “oscura”, lo è stata perché la Chiesa ha spento la luce, negando la ragione e la realtà empirica, per sostituirle con la fede ad ogni costo.

Eppure ciò non è bastato ai baroni universitari, a coloro cioè cui dovrebbe essere deputata la formazione dei giovani, comprendendo quest’ultima, oltre ovviamente la preparazione su determinate materie, anche il rispetto dell’opinione altrui, da cui non si può mai prescindere, soprattutto, guarda caso, nel campo scientifico, ove la dimostrazione delle teorie e delle ipotesi poggia proprio sulle idee contrarie. E se questo è dunque l’esempio dei docenti, non è difficile immaginare con quale chiusura mentale verranno fuori quegli studenti che avranno la disgrazia di averli come mentori. Nessuno si aspettava che proprio costoro, i professoroni universitari, si sarebbero allontanati dalla società aperta di Popper, cioè da una società liberale, aperta al confronto, al parere contrario, pure se diametralmente opposto, ma comunque non invasivo e prepotente, e sempre costruttivo. Hanno dimostrato invece paura. Non si sono voluti mettere in gioco, anzi hanno rievocato, pateticamente, quella laicità della scienza che è ormai fuori discussione. Benedetto XVI doveva parlare alla Sapienza, ne aveva tutto il diritto, come molti altri prima di lui, anche perché, in fondo, rappresenta politicamente il Capo di uno stato straniero.

Quanto è accaduto costituisce una macchia indelebile per l’Università romana e per il paese intero. Una macchia che ha tuttavia il merito di aver portato alla luce i contrasti ed i rapporti di potere all’interno dell’ambiente accademico: teniamone conto.

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