Il “Piano Casa” che il governo italiano si appresta a varare costituisce la misura principale con la quale il governo intende fronteggiare la crisi che ha colpito l’edilizia, in seguito alla contrazione dell’economia reale.
Le indiscrezioni trapelate sugli attuali interventi che saranno al centro della proposta legislativa, indicano che il ruolo prevalente nel rilanciare il settore sarà a carico di famiglie e imprese. A queste ultime saranno, infatti, concessi incentivi per realizzare interventi di ristrutturazione e/o iniziare nuove costruzioni, sotto forma di sgravi fiscali e la possibilità, condizionata da vincoli paesaggistici e ambientali, di aumentare la cubatura degli immobili oggetto degli interventi. Il governo ritiene, che una volta a regime, il pacchetto possa avere un impatto attorno al 6% del PIL (60-80 miliardi di euro).
L’acceso dibattito politico generatosi attorno al “Piano Casa”nelle ultime settimane si è concentrato sugli effetti, positivi e negativi, più evidenti che il piano comporterà ma sembra avere tralasciato un aspetto egualmente importante, ovvero la scelta stessa di questa linea di politica economica come risposta anti-ciclica alla crisi dell’economia reale.
Come già per altre misure in passato (si vedano gli sgravi a favore dell’istallazione di sistemi di energia rinnovabile) gli incentivi fiscali promettono di far emergere dal nero una buona parte degli interventi realizzati, il che appare particolarmente significativo nel caso del settore edilizio dove questa tendenza è ormai endemica. Peraltro, tralasciando la dimensione quantitativa che l’intervento verrà assumendo, è facile ipotizzare che il piano avrà un effetto positivo di rilancio sul settore, l’indotto, e non ultimo sul livello dei consumi.
Di converso forti dubbi permangono per quanto attiene l’effettiva tutela del paesaggio, che non va dimenticato, in Italia costituisce un aspetto rilevante della ricchezza nazionale attraverso l’effetto sull’indotto del turismo domestico ed internazionale.
Questa criticità mette in risalto come il “Piano Casa” rischia di diventare una misura una tantum, con effetti benefici di breve periodo, ma che invece perda l’occasione fornita dalla crisi per avviare le necessarie riforme strutturali che produrrebbero effetti di en più lungo periodo.
Con il “Piano Casa” il governo prende atto della peculiare propensione delle famiglie italiane a risparmiare, diversamente da quelle anglo-sassoni, e crea un incentivo affinché queste risorse accumulate rimettano in moto il mercato immobiliare. D’altro canto, come è noto, lo stato italiano è fortemente indebitato sia in termini assoluti che relativi e questo limita pesantemente le possibilità di spesa. Il debito pubblico ha ricominciato a salire e sebbene il rendimento sui titoli di stato sia sceso, cosi come il differenziale BTP-BUND (spread spesso utilizzato per misurare il rischio paese), il prezzo dei credit default swap (ovvero il premio richiesto per assicurarsi contro il pericolo di default di un’istituzione che emette titoli di credito dunque una misura intrinseca della sua solvibilità) sui titoli emessi dal tesoro italiano è rimasto molto elevato.
La decisione di avviare una ristrutturazione o di iniziare una nuova costruzione è solitamente finanziata con mezzi finanziari presi a prestito o con risorse ottenute smobilitando gli investimenti in titoli di varia natura (azioni, titoli di stato, obbligazioni, etc.) o ancora i depositi bancari e postali. In questo frangente di forte incertezza sui mercati, un massiccio disinvestimento a favore degli interventi nel settore immobiliare rischia di deprimere ulteriormente i valori di borsa e di fiaccare le richieste di sottoscrizione dei titoli di stato. Non è, infatti, inverosimile che un investitore preferisca ai BOT, il cui rendimento netto trimestrale è sceso sotto l’1% e che sono ridiventati nei mesi scorsi beni rifugio rispetto alla marcata volatilità dei mercati, l’investimento tradizionalmente più amato dagli italiani: il “mattone”.
A conti fatti il Piano Casa previsto dal governo potrebbe, nei suoi effetti, smobilizzare un quantitativo di risorse eccezionale, basti pensare che la famosa Legge Obiettivo del 2001 prevedeva una spesa complessiva di 150 miliardi di euro in dieci anni.
Il “Piano Casa” così come anticipato dal governo prevede due tipologie forti di intervento:
La prima tipologia è diretta all’aumento della cubatura delle abitazioni (in particolare edifici mono e bi-familiari) fino al 20% della cubatura totale. Questi interventi non prevederanno più la licenza, il permesso edilizio bensì la semplice dichiarazione di inizio attività (DIA).
La seconda tipologia di intervento, invece, riguarda la demolizione e il restauro di tutti gli edifici costruiti prima del 31 dicembre 2008 (fonte: ilsole24ore). Per tali costruzioni è prevista la possibilità di demolirli e restaurarli con la facoltà di espanderne la cubatura fino al 35%, col solo obbligo di usare materiali eco-compatibili e affini al risparmio energetico. Inoltre, a seguito dell’ampliamento, si potrà modificare la destinazione d’uso dell’immobile.
Tralasciando la spinosa questione di decenza morale, supponendo per un momento che gli Italiani possiedano, per davvero, quel famoso buon gusto e che quindi da tale liberalizzazione non deriveranno abusi, vogliamo cercare perciò di rispondere a due domande precise:
1. Perché conviene alle famiglie?
2. Che effetti anticiclici può determinare?
Per quanto riguarda la prima domanda, la risposta è semplice, le famiglie dovranno, si, impegnarsi economicamente per sostenere tali lavori (non sono previsti ulteriori incentivi oltre le famose detrazioni del 36% e l’IVA al 10%), però da tale sforzo guadagneranno in metratura. Basti pensare che nella zona periferica di Roma il costo a metro quadrato di un edificio residenziale si aggira intorno ai 3.500 euro.
Facciamo un esempio pratico:
Un piccolo appartamento nella periferia di Roma di metri quadrati 50, ovvero 150 metri cubi, con annesso un bel balcone da 16 metri quadrati può subire lavori di espansione, si può coprire, di fatto, il balcone e ricavarne così una nuova stanza o persino un bagno. Avendo a disposizione 150 metri cubi, l’appartamento è ampliabile di 30 metri cubi, ovvero di 10 metri quadrati. L’appartamento passa da 50 metri a 60 metri quadrati, con un aumento di valore di 35.000 euro, dato il valore a metro quadro sopra indicato. Ovviamente a tale importo vanno sottratte le spese di realizzo e la diminuzione di metratura del balcone.
Il guadagno c’è, sia a livello economico, sempre ragionando a prezzi di mercato costanti, cosa non del tutto probabile, sia in termini di spazi interni. Inutile, poi, è specificare il guadagno che si potrebbe ricavare da una demolizione, il 35% di aumento di cubatura è tantissimo e in questo momento rappresenta sicuramente un incentivo “appetitoso” per i nostri costruttori.
La seconda domanda richiede una risposta molto più articolata.
Il rinnovato apprezzamento per le idee di Keynes ha fatto si che negli ultimi mesi molti governi abbiano preso atto che per risolvere una crisi di tale portata sia indispensabile l’intervento del settore pubblico. Dunque, cosa dovrebbe fare un governo? Innazitutto si può pensare che debba mantenere il controllo del disavanzo e del debito, cosa fondamentale, soprattutto in Italia con il suo deficit/pil al 3% tendente nel 2009-2010 al 4,8-5,2% (IMF, 03/2009).
In secondo luogo dovrebbe impegnarsi a mantenere la coesione sociale, il che significa evitare una guerra tra poveri, stabilendo lo stesso livello di protezione sociale tra i soggetti più esposti al rischio. Dovrebbe quindi intervenire in modo massiccio ed i migliori interventi in questo senso sono quelli che tendono ad innalzare i livelli qualitativi di produzione, la produttività, in poche parole, gli investimenti.
Il settore pubblico ha l’onere di aprire un varco nel buio della crisi attraverso il finanziamento di progetti di investimento pubblici cha vanno dall’energia verde, alle autostrade, alla manutenzione degli edificipubblici, fino alla ricerca e alle infrastrutture digitali. La delibera del Cipe che stanzia 17/18 miliardi da destinarsi ad opere infrastrutturali va senz’altro in questa direzione, sebbene meno evidente siano i tempi effettivi nei quali saranno impiegati.
Il “Piano Casa” di per sé è un buon intervento anti-ciclico, anzi sarebbe eccezionale, però così impostato potrebbe rappresentare un gravissimo errore, una nuova occasione mancata o persino l’inizio di una fase di definitivo declino per il nostro paese. Il problema non è morale, ma semplicemente politico. Forse non moriremo di cemento, certo è stato il cemento della ricostruzione il padre dello sviluppo economico italiano, ma oggi cosa potrebbe succedere?
Il paradosso sta tutto in un dettaglio, il piano certamente stimola l’economia e se avesse anche solo effetti pari alla metà di quelli stimati potrebbe dare una sferzata non indifferente. Il problema è che a fare da stimolo all’economia non è il settore pubblico ma sono i risparmi delle famiglie. Un’interpretazione particolare della politica keynesiana che però cambia tutto.
Il governo prevede una spesa per edilizia popolare di 550 milioni di euro nei prossimi due anni, da integrare con quella regionale. Il settore pubblico quindi contribuisce con una somma che rappresenta lo 0,9% del totale di risorse che tale piano smobilizzerà. Si sposta tutto il peso della politica espansiva su famiglie e imprese.
In una situazione di crollo delle quotazioni di pressoché tutti gli strumenti finanziari, di riduzione del reddito reale, di azzeramento delle esportazioni e dei livelli di produzione, tale piano potrebbe andare ad intaccare le ultime briciole di risparmio delle parsimoniose famiglie italiane.
Il beneficio economico dato dalle ristrutturazioni e dagli ampliamenti potrebbe divenire polvere se le quotazioni dei prezzi immobiliari calassero, come è già avvenuto in molti paesi europei tra cui Spagna ed Irlanda dove la bolla immobiliare si è andata sgonfiando. Il recentissimo rapporto Nomisma segnala, di fatto, come il valore delle abitazioni nelle aree provinciali sia già calato in media del 2,4%. Ma, soprattutto, evidenzia come alla base del calo vi siano da un lato l’eccessiva offerta di nuove abitazioni e dall’altro la stretta creditizia. Sebbene quest’ultimo fenomeno fosse prevedibile vista la debolezza del settore bancario il primo lo è molto meno. Una correzione del mercato mobiliare, come molti si attendono, potrebbe essere vicina e in un certo senso necessaria per ristabilire prezzi che scontino la bolla immobiliare che sembra avere contagiato le economie occidentali. In questo contesto il “Piano Casa” favorendo interventi migliorativi a favore di case preesistenti potrebbe avere l’effetto di posticipare questa correzione più in là nel tempo.
Una valutazione complessiva sull’impatto del “Piano Casa” risulta particolarmente difficile alla luce del difficile contesto economico internazionale che si è andato delineando. Tuttavia l’estrema volatilità dei mercati finanziari, la debolezza del mercato bancario, ed il peso del debito pubblico costituiscono a nostro avviso tre variabili che, sebbene omesse dal dibattito corrente, verranno pesantemente influenzate dal successo che questa misura per l’edilizia riscontrerà una volta implementata.
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