Nonostante le dichiarazioni tranquillizzanti, il piano industriale delle Ferrovie non lascia ombra di dubbio quando, nero su bianco, stabilisce un aumento del 35% per le tariffe dei treni a media e lunga percorrenza, da spalmare nei cinque anni di programmazione previsionale (2007 – 2011).
In particolare al rincaro del 10%, già scattato all’inizio dell’anno, ne farà seguito un altro di pari entità entro il 2007 (ma questo, considerate le proteste al suo solo annuncio, potrebbe slittare al 2008), per poi procedere, dal 2009, con aumenti annuali del 5% fino al 2011, ultimo esercizio considerato nel piano quinquennale delle Fs. Per i treni regionali gli aumenti saranno invece più contenuti, dell’ordine del 3,5 medio annuo, e andranno a finanziare i nuovi investimenti in materiale rotabile ed a copertura dell’inflazione stimata.
La decisione di inserire nel piano operativo dell’azienda di trasporti ferroviari questa rigorosa politica di revisione al rialzo delle tariffe non deve però sorprendere più di tanto, perché rappresenta una scelta obbligata nell’ambito di una gestione finalizzata all’obiettivo non più prorogabile del risanamento aziendale.
Le Fs hanno infatti chiuso il 2006 con una perdita d’esercizio di circa un miliardo e 977 milioni di euro e puntano, con le valutazioni operate nel loro piano industriale, a ridurre tale perdita di due terzi già nell’anno in corso. Il meccanismo che sottende la programmazione pluriennale messa in atto dalle Fs è fin troppo chiaro nella sua dinamicità e può essere spiegato facilmente con l’ausilio del grafico sotto riportato.
All’attuale livello quantitativo del servizio di trasporto offerto (indicato con L*), il disavanzo dell’ente è dato dalla differenza tra il valore dei costi totali e quello dei ricavi totali (i punti A e B). Una volta che i previsti aumenti tariffari andranno a regime, la curva dei ricavi subirà uno spostamento verso l’alto per effetto della sua maggiore inclinazione a parità di volumi quantitativi (è stimata una crescita degli introiti nel 2007 per 130 milioni di euro), ed il nuovo disavanzo sarà pertanto più contenuto, pari alla differenza tra il valore sempre uguale dei costi e quello diverso dei nuovi ricavi (punti A e C).
Se l’intervento sulle tariffe è quindi un passaggio necessario per migliorare il bilancio deficitario delle Ferrovie, è da sottolineare come l’amministrazione del risanamento agirà verosimilmente anche sui costi aziendali, allo scopo d’assicurare una maggiore efficacia all’intera manovra. E’ sotto questo profilo che va letta la previsione, sempre contenuta nel piano industriale delle Fs, di un esubero di personale per l’anno in corso, che porterà ad una riduzione dello stesso di ben 3.500 unità, frutto di 4.500 uscite e di 1.000 nuove assunzioni di cui poco meno della metà a tempo determinato.
L’effetto congiunto di tali misure gestionali dovrebbe portare le Ferrovie al pieno risanamento del proprio bilancio, sia pure nell’arco temporale di medio termine preso in esame dal piano aziendale.
Com’era ovvio, l’annuncio dei rincari programmati ha però scatenato le ire delle associazioni dei consumatori, le quali hanno subito fatto esplodere la protesta, minacciando anche il ricorso al Tar, e se da una parte (l’ente ferroviario) si cerca di minimizzare e di giustificare gli aumenti confrontando le nuove tariffe con quelle in vigore negli altri Paesi europei, decisamente più care, dall’altra (i consumatori) si ribadisce ancora una volta la mediocre qualità del trasporto ferroviario italiano e si afferma, con ironia, che il paventato rincaro dei prezzi dei treni rappresenta forse l’unico evento veramente puntuale di tutto il sistema ferroviario.
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