LA REGIONE SICILIA – PRESIDENZA – DIPARTIMENTO DI PROTEZIONE CIVILE
SERVIZIO RISCHI IDROGEOLOGICI E AMBIENTALI
presenta un documento di divulgazione su:
IL RISCHIO IDROGEOLOGICO IN PROTEZIONE CIVILE
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Le azioni combinate degli eventi meteorologici, della forza di gravità e delle condizioni strutturali del territorio determinano effetti che possono produrre una modificazione, permanente o temporanea, dell’ambiente naturale: è allora che si parla di:
DISSESTO IDROGEOLOGICO
Una frana, una inondazione, un’erosione costiera, per esempio, costituiscono consueti fenomeni di dissesto idrogeologico.
La storia della Sicilia (come nel resto delle regioni italiane) è segnata da eventi calamitosi che hanno comportato la distruzione di beni e centri abitati e, in taluni vasi, il trasferimento di interi paesi in siti più sicuri.
Tali fenomeni rientrano nell’ordinaria trasformazione della crosta terrestre che può manifestarsi con eventi rapidi o lenti, ma pur sempre facenti parte dei processi naturali.
Quando gli spazi che sono propri di questi fenomeni naturali vengono occupati dalle attività antropiche, che subiscono o accentuano le condizioni di predisposizione al dissesto, sorge un conflitto che può comportare uno stato di sofferenza per i beni o l’incolumità dell’uomo.
La connotazione semantica del concetto di RISCHIO IDROGEOLOGICO è tutta qui: un fenomeno di origine prevalentemente naturale cui consegue il danneggiamento (totale o parziale) di un bene utile all’Uomo.
Se è vero che lo sviluppo ha bisogno di risorse (lo spazio, il territorio, tra queste), è altrettanto vero che la crescita deve tenere conto dei limiti imposti dalla fragilità del territorio e dei rischi ad essa connessi.
Occorre segnalare che la “consapevolezza istituzionale” delle ripercussioni sul sistema della vita civile del dissesto idrogeologico risale agli anni ’70 quando la “Commissione interministeriale per lo studio della sistemazione idraulica e della difesa del suolo” (Commissione De Marchi) tracciò un quadro preoccupante ma realistico della situazione in Italia.
Da qualche tempo, le esigenze di previsione e prevenzione per scopi di tutela della pubblica e privata incolumità hanno comportato sforzi nella definizione del concetto del rischio, che comprende i concetti relativi all’esposizione e alla vulnerabilità dei beni.
Le esigenze di tutela dell’incolumità pubblica si sono precisate, sia come percezione di un diritto, sia come definizione normativa, e di conseguenza lo sforzo degli Enti pubblici si è orientato alla ricerca di percorsi finalizzati alla salvaguardia delle persone e dei beni, in una parola del contesto sociale inteso nella sua globalità (valori, economia, qualità della vita).
Tuttavia, si riconoscono ampie lacune laddove le esigenze di tutela si scontrano con interessi privati, con mancanza di risorse, con una cultura della prevenzione non ancora matura.
Se un evento calamitoso non mette a repentaglio la vita dell’uomo e le sue attività produttive, desterà poco interesse. Viceversa, se un evento di modesta entità coinvolge anche una sola automobile e i suoi occupanti, allora l’attenzione dei media si acutizza.
In entrambi i casi, la ripetizione del fenomeno nel tempo costituisce un elemento di valutazione interessante e doveroso: se l’evento meno intenso (ma che ha messo a repentaglio la vita umana) si ripete spesso occorre attuare tutti gli interventi idonei affinché non produca più quel danno, mentre se si tratta di una circostanza fortuita l’approccio deve essere diverso.
Lo studio delle condizioni che hanno prodotto quel tipo di evento (la possibilità che si ripeta con quella intensità o maggiore) costituisce attività di PREVISIONE.
L’analisi dei presupposti che hanno comportato quell’automobile a trovarsi nella situazione di pericolo e gli accorgimenti necessari affinché quel fatto non si ripeta costituiscono attività di PREVENZIONE.
La previsione dei fenomeni naturali è una delle attività più difficili che un ricercatore possa condurre: per esempio, non è facile (e spesso non è possibile) prevedere se una frana si possa manifestare in ragione del fatto che esistono molti tipi di frane, ciascuna delle quali può innescarsi a seguito di fatti molto diversi (piogge intense e/o prolungate, uno sbancamento non protetto, un’erosione, ecc).
Anche se si sapesse che sono soltanto le piogge a provocare le frane, non si sa se occorre un’ora con 50 mm o 50 giorni con 100 mm a determinarne l’innesco o la mobilitazione. E anche se si fosse certi del quantitativo e dell’intensità di acqua piovuta necessaria a determinare la frana, i modelli di previsione meteorologica non riescono a essere così precisi sia nel dettaglio temporale (QUANDO), che nel dettaglio geografico (DOVE).
Meno indeterminato, in quanto sorretto da modelli analitici più rigorosi, è il discorso per le piene fluviali: infatti, a meno di un certo numero di variabili quantificabili, esiste un rapporto diretto tra piogge e deflussi; a loro volta, i dati di pioggia sono numerici e quindi trattabili dal punto di vista statistico per il calcolo probabilistico dell’intensità.
Il Rischio totale viene definito quale una combinazione di fattori che tengono conto delle componenti naturalistiche (la pericolosità: P) e di quelle antropiche (l’esposizione: E, e la vulnerabilità: V):
RT = P·E·V(equazione generale del rischio)
Per Rischio specifico si intende, in assenza di danno, il rischio potenziale o indiretto:
RS = P·V
Il prodotto D = E·V esprime il Danno.
I fattori che compongono il prodotto R (P, E, V) sono numeri che, come tali, vanno trattati con procedure analitiche coerenti.
La Pericolosità esprime la probabilità che un fenomeno di una certa intensitàsi verifichi in un dato intervallo di tempo.
L’Intensità rappresenta la gravità del fenomeno (la magnitudo di un terremoto o l’altezza di una pioggia) ed è espressa da valori fisici misurabiliche vengono associati ad un effetto specifico.
Tali dati vengono elaborati con tecniche statistiche per la valutazione del “tempo di ritorno”, cioè l’intervallo di tempo entro il quale si ritiene che lo stesso fenomeno, con quella intensità, si possa ripresentare; a tal proposito, vengono ricostruite le serie storiche degli eventi, presupposto imprescindibile per le analisi statistiche.
Per esempio, si osservi la tabella che segue riferita alle piogge intense della stazione pluviometrica di Palermo Osservatorio Astronomico:
STRALCIO DI SERIE STORICA
ELABORAZIONE STATISTICA
La quantità di pioggia (n.ri in blu) aumenta nell’arco della giornata da 1 ora a 24 ore (dato osservato).
La quantità di pioggia aumenta, nell’arco dello stesso tempo, all’aumentare del tempo di ritorno (TR).
I parametri a, n rappresentano i parametri della curva di regressione: h=a·tn (h = altezza di pioggia, t = tempo).
Quindi, all’aumentare della finestra temporale (TR), ci si attende che le piogge siano maggiori.
E’ intuitivo che eventi con tempi di ritorno (TR) maggiori della scala temporale della vita umana (75 anni, in media) hanno una Pericolosità (P) minore degli altri; da ciò dipende l’indice (il peso) da assegnare che è funzione della seguente funzione statistica: P=1-[1-(1/TR)] “elevato” n (dove n = numero di anni di riferimento).
Nel DPCM 29/09/1988: “Atto di indirizzo e coordinamento per l’individuazione dei criteri relativi agli adempimenti di cui all’art. 1, commi 1 e 2 del D.L. 11/06/1998 n°180, art. 1, punto 2.2” vengono date, per il rischio idraulico, le seguenti indicazioni qualitative:
- pericolosità alta per tempi di ritorno compresi tra 20 e 50 anni,
- pericolosità media per tempi di ritorno compresi tra 100 e 200 anni,
- pericolosità bassa per tempi di ritorno compresi tra 300 e 500 anni.
Per le frane la questione è molto diversa. Semplificando, può dirsi che la massa spostata, da sola, non dà indicazioni sufficienti per la valutazione della Pericolosità (intesa come intensità) in quanto deve essere messa in relazione alla velocità di spostamento e allo stato di attività del dissesto.
Volume, velocità e attività sono dati la cui valutazione è molto incerta e dipende, spesso, da criteri soggettivi dei rilevatori.
Queste difficoltà comportano la impossibilità di esprimere il “fenomeno frana” con un singolo parametro fisico che ne rappresenti l’intensità; di conseguenza, occorre procedere con metodi deduttivi (per esempio: una frana grande è più intensa di una frana piccola, una frana attiva è più pericolosa di una non attiva) che, come si sa in campo scientifico, non rappresentano metodi “robusti”.
Al riguardo, il citato DPCM 29/09/1988 fornisce le seguenti indicazioni:
- pericolosità alta per frane veloci,
- pericolosità media per frane lente ma molto grandi e/o profonde,
- pericolosità bassa per frane lente non grandi e/o superficiali.
In questo caso, sparisce il termine riferito al tempo di ritorno e quindi il nesso statistico.
L’Esposizione si riferisce al grado di danno che può subire un bene colpito da un evento. Tale valutazione viene fatta in funzione del valore del bene che non può essere assoluto: una strada secondaria può costituire l’unica via di accesso ad un nucleo abitato che va salvaguardato in caso avvenga un’interruzione, uno spiazzo può risultare più o meno importante se è destinato o meno ad accogliere strutture di protezione civile, un terreno coltivato assume importanza diversa a seconda del tipo di coltura e del contesto socio-economico.
Poiché tale indicatore è un fattore dell’equazione generale del rischio (R=P·E·V), occorre trovare procedure analitiche affinché i “numeri” siano commensurabili tra loro; ciò non è semplice in quanto le unità di misura che esprimono l’Esposizione possono essere molto diverse tra loro.
Per esempio, se per una strada il valore può essere espresso in funzione dell’importo necessario ad effettuare un intervento di ricostruzione (a sua volta, parziale o totale), e quindi andrebbe espresso in €/km, per un’area coltivata il valore va attribuito in funzione del tipo di coltura e della superficie (€/Ha), al variare della provincia; più complesso è il discorso nel caso sia a repentaglio la vita umana: alcuni indirizzi fanno riferimento al costo dei premi assicurativi ma l’approccio non è perseguibile con la sintesi e l’immediatezza che sono propri della Protezione Civile.
- Il Rischio: La Vulnerabilità (La Banca Dati del DRPC e il Sistema Informativo Geografico Idrogeologico)
La Vulnerabilità esprime in che misura un bene può essere colpito da un certo tipo di evento.
Sebbene sia un indicatore del tipo “vero/falso”, andrebbe utilizzato anche per rappresentare situazioni dinamiche (il bene può essere interessato se l’evento si manifesta in un certo modo).
Anche in questo caso, il valore numerico del fattore deve essere confrontabile, dal punto di vista dimensionale, con quelli della Pericolosità e dell’Esposizione.
Gli elementi che concorrono alla definizione del rischio si prestano bene ad essere raccolti e organizzati sotto forma di banca dati che può essere opportunamente strutturata per integrarsi con un Sistema Informativo Geografico.
E’ lo sforzo che sta compiendo il Dipartimento Regionale della Protezione Civile per dotarsi di uno strumento di analisi e di pianificazione territoriale per i propri scopi istituzionali.
A tal riguardo, le schede di censimento dei dissesti e delle problematiche idrauliche sono state predisposte con il preciso obiettivo di disporre di conoscenze utili per le esigenze specifiche di protezione civile (supporto alle decisioni).
Mediante il Sistema Informativo Geografico, e’ possibile, per esempio, selezionare le frane che interrompono la viabilità primaria e valutarne le conseguenze sul sistema sociale.
Nel caso mostrato, la frana impedirebbe l’unico collegamento rapido con l’ospedale di Nicosia e comporterebbe un tragitto più lungo, non sempre percorribile in caso di neve, per raggiungere l’ospedale di Sant’Agata di Militello.
Da ciò ne discendono valutazioni in ordine alla pianificazione di protezione civile (p.e., la necessità di dotarsi di un eliporto o di un presidio medico avanzato stabile, se il dissesto non è sanabile).
Il Dipartimento Regionale della Protezione Civile ha affrontato diverse volte la problematica dei dissesti idrogeologici nell’ottica della mitigazione del rischio per la popolazione, per i beni e per le attività antropiche.
Dal 2001 al 2006 gli eventi di natura idrogeologica per i quali è stato dichiarato la stato di calamità sono stati numerosi.
- Frana in prov. di CL
- Tromba d’aria in prov. di RG
- Tromba d’aria a Nicolosi(CT)
- Emergenza Nebrodi (ME)
- Nubifragi – provv. di EN e TP
- Nubifragi – provv. di CT, ME, PA
- Nubifragio in prov. di SR
- Nubifragi in Sicilia
- Mareggiata a Lipari (ME)
- Nubifragi – provv. di CT, EN, ME
- Nubifragi in Sicilia
- Nubifragio in prov. di EN
- Nubifragi in Sicilia orientale
- Nubifragi in Sicilia centro-orientale
Nella maggioranza dei casi, si è trattato di fenomeni franosi; gli eventi che hanno prodotto piene fluviali rilevanti sono quelli del settembre 2003 in provincia di Siracusa, dell’ottobre, novembre e dicembre 2005 in provincia di Catania e Ragusa.
L’attività del Dipartimento Regionale della Protezione Civile si è svolta mediante l’assistenza ai Comuni, il censimento dei danni, la realizzazione di lavori di urgenza e somma urgenza, la redazione di piani di intervento.
Vengono illustrati brevemente alcuni interventi, realizzati dal DRPC, particolarmente significativi per le peculiari condizioni morfologiche e per le soluzioni tecniche adottate.
- LA PISTA DI EMERGENZA DI ALCARA LI FUSI (ME)
- LA PISTA DI EMERGENZA DI MISTRETTA (ME)
- IL CONSOLIDAMENTO DEL “CALVARIO” AD ALCARA LI FUSI (ME)
- L’EMERGENZA “PAPIRETO”- PALERMO
PROGETTO E REALIZZAZIONE: Amministrazione Comunale – FINANZIAMENTO E SUPERVISIONE: DRPC
Durante gli eventi del 2002-2003 nel comprensorio nebroideo, ad Alcara li Fusi si determinò una situazione molto difficile per i collegamenti viari: la S.P. 161, unica sicura strada di accesso all’abitato, mostrava preoccupanti segni di cedimento, l’altra strada (S.P. 161bis) che permetteva il collegamento verso gli altri centri (Galati, Longi) era già stata distrutta da una frana negli anni passati (Villicano) e la viabilità comunale verso le aziende agricole risultava compromessa da un vistoso dissesto (Timpa Canale) che si evolveva giorno per giorno.
Per realizzare la pista venne predisposto un piano di posa con pietrame di grossa pezzatura “annegato” nelle argille.
PROGETTO E REALIZZAZIONE: DRPC (Basile, Manfrè, Panebianco)
Un problema analogo a quello di Alcara per le motivazioni di intervento, ma più articolato per quanto le soluzioni adottate, si presentò a Mistretta. Qui si verificò una frana complessa (scorrimento e colata) che distrusse una strada provinciale, unica via di accesso ad aziende avicole ed agricole di notevole importanza per l’economia locale (indotto regionale). L’intervento richiese, oltre alla realizzazione della pista nel tratto neutro, un’ardita opera di contenimento in gabbioni realizzata proprio dove la frana aveva comportato i maggiori spostamenti plano-altimetrici.
PROGETTO E REALIZZAZIONE: DRPC (Basile, Panebianco)
Il costone roccioso sovrasta una strada urbana, tra l’altro sede del mercato settimanale, che costituisce un’arteria di alleggerimento del traffico dell’unica e angusta strada principale del paese. La roccia presentava una situazione generale di degrado per fratturazione e, in particolare, un masso si mostrava in precario stato di stabilità.
Per la messa in sicurezza si è scelto il sistema del rivestimento corticale rinforzato (rete metallica con funi di acciaio) con l’aggiunta di pannelli di rete, chiodature profonde e tiranti passivi per il masso. La natura particolarmente irregolare delle superfici ha comportato una realizzazione piuttosto complessa che aveva l’obiettivo primario di adattare la rete metallica alla conformazione della roccia; si è reso quindi necessario collocare una doppia serie di cavi di acciaio: la prima è servita per appigliare e modellare la rete, le seconda a stabilizzare il sistema roccia-rivestimento.
L’intervento è stato finalista al concorso nazionale del Forum P.A. Regionando 2005.
PROGETTO E REALIZZAZIONE: DRPC (Foti, Alferi, Maisano)
A seguito delle abbondanti piogge verificatesi nel mese di Dicembre 2005, il canale di maltempo “Papireto” non riusciva a smaltire le acque verso i recapiti finali determinando allagamenti nelle aree circostanti. Le ricognizioni accertavano l’ostruzione del canale e facevano ipotizzare la rapida e parossistica evoluzione del fenomeno con gravissime conseguenze derivanti dall’inondazione delle zone più depresse (Mandamento Monte di Pietà, via Maqueda).
Considerato il perdurare della situazione, il DRPC provvedeva a: potenziare il volume di emungimento con due idrovore carrellate di portata complessiva pari a 31.000 l/min, al fine di mantenere sotto controllo il livello idrico, nelle more di un intervento di ripristino del Canale Papireto; realizzare un canale scolmatore atto a scongiurare il rischio di esondazione paventato e possibile.
In data 30/12/2005 le motopompe del DRPC venivano messe in esercizio. Contestualmente si avviavano i lavori per la realizzazione del canale scolmatore. Il contributo tecnico del servizio RIA è continuato successivamente per tutto il mese di gennaio e febbraio fornendo le valutazioni di carattere idraulico sull’estensione del bacino idrografico sotteso dal canale Papireto, sulle portate presuntive defluenti nel canale, sulla caratterizzazione geologico-tecnica dei terreni per gli interventi di bonifica preventivi ai lavoridi scavo.
Il 18 febbraio 2006 il bypass entrava in esercizio scongiurando i rischi di inondazione dell’area del “Mandamento di Pietà”.
Nell’ambito delle attività istituzionali del Servizio Rischi Idrogeologici e Ambientali, vengono approfondite alcune tematiche specifiche con l’obiettivo di fornire elementi di valutazione sui temi di interesse o supporti di natura tecnico-scientifica.
- Studio del rischio idrogeologico, con finalità di protezione civile, nella fascia Ionico-etneaQuando il progetto fu concepito, nel 2001, il Dipartimento era stato appena costituito; allora come oggi, la fascia pedemontanaetnea rappresentava una zona ad elevato rischio idraulico per l’elevato grado di antropizzazione del territorio e vi era l’esigenza di una rappresentazione sintetica delle principali situazioni di criticità; si tratta del primo esempio in Sicilia di coniugazione delle problematiche del Rischio Idrogeologico con le necessità della Protezione Civile. Per il download dell’intero studio:http://www.regione.sicilia.it/presidenza/protezionecivile/
- Studio geomorfologico del Torrente RosmarinoTra il 2002 e il 2003 il comprensorio nebroideo fu interessato da un diffuso stato di dissesto geomorfologico causato dalle copiose piogge che caddero tra dicembre e febbraio; nel bacino del torrente Rosmarino si mobilizzò una delle più grandi che si sono verificate in Sicilia; lo studio analizza le diverse componenti del territorio (idrografia, pendenze, vegetazione, litologia) nel tentativo di individuare le cause innescanti del fenomeno. Per il download dell’intero studio:http://www.regione.sicilia.it/presidenza/protezionecivile/
Le dighe sono soggette a regimi di controllo attuati dagli enti gestori; quando occorre eseguire manovre di alleggerimento degli invasi attraverso gli organi di scarico o nell’ipotesi di collasso delle strutture, è necessario avere immediatamente a disposizione alcune informazioni tra le quali: i territori amministrativi interessati dall’emissario e i principali attraversamenti viari; lo studio offre una panoramica della situazione per tutte le più importanti dighe della Regione.
Per informazioni: serviziorisa@protezionecivilesicilia.it
Per facilitare le procedure preparatorie degli studi di natura idraulica, sono state elaborate le mappe delle altezze di pioggia per l’intera regione che permettono, per un assegnato tempo di ritorno e per valori diversi del tempo di corrivazione, di conoscere l’altezza di pioggia per qualunque sezione di interesse. In questo modo viene evitato il problema della individuazione delle stazioni pluviometriche rappresentative (spesso inesistenti per bacini idrografici di piccola estensione) e della raccolta ed elaborazione dei dati. Le mappe sono fornite in formato-immagine e sono georeferenziate (sistema Gauss-Boaga) e quindi sono sovrapponibili a qualunque progetto grafico.
Per informazioni: serviziorisa@protezionecivilesicilia.it
La Direttiva P.C.M. del 27 febbraio 2004 prevede la costituzione dei Centri Funzionali, sia a livello centrale che regionale. Tali organismi devono provvedere, anche con l’ausilio di Centri di Competenza, alla valutazione preventiva del Rischio Idrogeologico e alla gestione del sistema di protezione civile in corso di evento.
Uno degli aspetti della previsione è legato alla individuazione di soglie critiche di pioggia al superamento delle quali far scattare gli stati di allerta.
Per i fenomeni franosi è noto che la determinazione di soglie critiche non è immediata in quanto all’innesco dei dissesti concorrono molti fattori non tutti identificabili a priori, specie nelle frane non monitorate o in quei contesti dove vi è una generica e non quantificata predisposizione all’instabilità dei versanti.
Nelle more della formale costituzione del Centro Funzionale Decentrato della Regione Siciliana, il Servizio Rischi Idrogeologici e Ambientali del DRPC ha messo a punto un modello sperimentale che permette di valutare il livello di criticità idrogeologica in funzione delle piogge cumulate e delle precipitazioni attese.
Il modello, che si basa sull’analisi statistica della relazione piogge-frane di circa cinquanta dissesti di grandi e medie dimensioni del tipo scoscendimento+colata verificatisi in Sicilia dai primi del 1900 ai giorni nostri, è concepito per adattarsi alla natura dei dati disponibili (dati di pioggia giornaliera in alcune stazioni pluviometriche, previsioni meteorologiche) poco prima degli eventi meteorici previsti.
REGIONE SICILIANA – PRESIDENZA
DIPARTIMENTO DELLA PROTEZIONE CIVILE
Dirigente Generale: Salvatore Cocina
SERVIZIO REGIONALE RISCHI IDROGEOLOGICI E AMBIENTALI
Dirigente del Servizio: Giuseppe Basile
Dirigente della UOB XXIII: Marcello Maisano
Staff:
- Roberto Amato
- Filippo Balsano
- Orsola Bonanno
- Rosario Cultrone
- Calogero Di Miceli
- Santa Levanto
- Marinella Panebianco
- Rita Picciuca
- Cosimo Sinagra
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