Se lo Stato ricorre in modo persistente all’ indebitamento per finanziare la spesa in eccesso, può sorgere un problema di sostenibilità del debito pubblico: mano a mano che il debito si accumula, infatti, crescerà la spesa per interessi sul debito e lo Stato dovrà emettere in misura crescente nuovo debito non solo per finanziare il disavanzo, ma anche per pagare i crescenti interessi sul debito accumulato. Di conseguenza, il debito pubblico si autoalimenta, con il debito accumulato che produce continuamente maggior debito per finanziare la crescente spesa per interessi.
Se un Governo supera la propria capacità di indebitamento, misurata in relazione alla solidità della sua economia e alla fiducia che riscuote nei mercati, sempre meno titoli di quel paese saranno domandati, e i tassi di interesse che esso dovrà pagare per convincere gli investitori a sottoscrivere i propri titoli schizzeranno all’insù, causando una esplosione del debito, che sfuggirà al controllo dello Stato. Nel migliore dei casi, lo Stato sarà obbligato ad abbandonare la strategia di finanziamento mediante indebitamento e ad attuare una rigida politica fiscale restrittiva per generare avanzi primari e riuscire a ridurre l’esistente stock di debito; nel peggiore dei casi, lo Stato può arrivare alla bancarotta e/o al consolidamento e alla ristrutturazione del suo debito, ossia alla decisione da parte dello Stato di non restituire più il denaro che gli è stato prestato oppure di restituire solo i debiti a scadenza più lunga, ovvero di ridefinire completamente tempi ed oneri per la restituzione del debito contratto.
Per valutare correttamente la capacità di indebitamento e la sostenibilità del debito pubblico, è opportuno considerare l’andamento nel tempo del rapporto debito/ PIL.
La stabilità nel tempo del rapporto debito/PIL indica che il debito cresce nella stessa proporzione del PIL e che il paese ha la capacità di creare le risorse per ripagare il debito contratto: esso è indice di sostenibilità del debito pubblico.
A sua volta, l’andamento nel tempo del debito in rapporto al PIL dipende da almeno due fattori: dall’evoluzione del saldo primario e dal rapporto tra il tasso d’interesse reale (tasso di interesse al netto dell’inflazione) e tasso di crescita del PIL reale.
Per ciò che concerne il saldo primario, va ricordato che esso è definito come la differenza tra spesa pubblica (senza considerare il servizio del debito, cioè gli interessi) ed entrate fiscali e, pertanto, se la spesa pubblica eccede le entrate fiscali, allora si avrà un disavanzo primario, mentre nel caso opposto si avrà un avanzo primario.
Se il disavanzo primario aumenta, allora possono esistere problemi di crescita e insostenibilità del debito contratto dallo Stato. In tal caso, solo se il volume del debito non è troppo alto e il sistema economico cresce a un ritmo superiore al tasso di interesse reale, allora il paese può essere in grado di creare risorse sufficienti a ripagare gli interessi sul debito, senza che si verifichi alcuna esplosione.
La contemporanea presenza di un disavanzo primario e di un tasso d’interesse reale maggiore del tasso di crescita del PIL comporta che l’economia del paese non è in grado di creare le risorse necessarie per ripagare neanche i soli interessi sul debito che lo Stato ha contratto: il debito è destinato ad esplodere e, pertanto, non è sostenibile. Si tratta della situazione creatasi in Italia alla fine degli anni Ottanta.
In seguito alla politica di risanamento intrapresa a partire dal ’92, l’ Italia è entrata nella terza ipotesi di scuola, più complessa ed interessante, e cioè la contemporanea presenza di un avanzo primario e di un tasso d’interesse reale superiore al tasso di crescita dell’economia.
In questo caso lo Stato ha un’unica possibile soluzione al problema della sostenibilità, che consiste nell’attuare rigorose politiche finanziarie e/o fiscali restrittive che generino consistenti avanzi primari, sufficienti a invertire la dinamica esplosiva del debito pubblico.
E’ stata questa la soluzione adottata dal governo italiano: in presenza di un elevato tasso d’interesse sui titoli del debito pubblico italiano che veniva richiesto dai mercati finanziari internazionali a causa di un elevato rischio di insolvibilità dell’Italia, sono state attuate rigorose politiche di risanamento della finanza pubblica volte a generare consistenti avanzi primari e a guadagnarsi la fiducia dei mercati, determinando così una riduzione del “rischio-paese” e, quindi, del tasso d’interesse chiesto dagli investitori finanziari internazionali sui titoli del debito pubblico italiano. Per uscire completamente dal tunnel occorrerebbe che il tasso d’interesse risultasse inferiore al tasso di crescita della nostra economia, allora sarebbe scongiurato il rischio di esplosione del debito e si aprirebbero spazi per una possibile riduzione della pressione fiscale nel nostro paese.
In realtà il trend dei conti pubblici italiani non solo non ha ancora imboccato questa strada, ma risulta peggiorato negli ultimi anni con la progressiva riduzione dell’avanzo primario accumulato, sino al quasi totale azzeramento nel 2005. Ciò, come già spiegato, significa che l’onere degli interessi sul debito non è coperto né da sufficienti entrate fiscali, né dalla crescita, che risulta sempre inferiore al tasso di interesse reale. In altri termini, il debito ha ripreso a crescere in proporzione al PIL, di nuovo dopo 10 anni.
Fonte: www.menostato.it
Un altro grafico illustra in modo sintetico la sostenibilità/insostenibilità del debito per i paesi europei. .
Sull’asse orizzontale è indicato l’avanzo primario di bilancio in rapporto al Pil, mentre sull’asse verticale è riportato l’interesse pagato sul debito al netto del tasso di crescita. La dimensione dei cerchi per ciascun paese è proporzionale al volume del debito in rapporto al PIL.
La retta tratteggiata a 45 gradi segna il confine tra sostenibilità e insostenibilità: quando l’interesse pagato sul debito al netto del tasso di crescita (r-g asse verticale) è superiore all’avanzo primario (asse orizzontale), significa che esistono seri dubbi sulla capacità di pagare gli interessi in futuro perché questo onere finanziario non è coperto né dalla crescita economica, né da sufficienti entrate fiscali e che nel tempo il debito tenderà a crescere.
Grafico tratto dal sito www.lavoce.info – “I mercati nervosi” di Fabio Scacciavillani
Dal grafico risulta che ben quattro tra le maggiori economie di Eurolandia si trovano aldilà della linea di sostenibilità del debito. L’Italia ha la posizione peggiore sia perché il divario tra tasso di interesse e tasso di crescita risulta superiore, sia perché il rapporto debito/Pil è il più alto tra i paesi la cui posizione fiscale è insostenibile. Considerato che il Trattato di Amsterdam non permette alla Bce di effettuare alcun intervento di soccorso, se non si inverte subito la rotta, non si può certo negare che i titoli italiani corrono il rischio di un declassamento del rating [1] e i mercati potrebbero effettivamente costringere il Governo italiano ad abbandonare l’euro, se si convincessero che le condizioni di finanza pubblica dell’Italia non sono sostenibili e si profilasse il pericolo di un ripudio del debito.
[1] Valutazione del rischio connesso a un credito. Tanto migliore è il rating tanto minore il tasso di interesse richiesto dal creditore.
Per ben sperare, si può osservare tuttavia che i correttivi necessari per tornare a ridurre il debito sono ancora relativamente contenuti. Se il tasso reale medio di crescita si prevede per il 2006 intorno all’ 1 per cento e il costo medio del debito è salito al tasso reale del 3 per cento, un avanzo primario del 2 per cento sarebbe sufficiente per stabilizzare il rapporto debito/Pil. Perché il debito torni a calare dunque l’aggiustamento è ancora possibile.
0 commenti