Tassazione IRPEF prima casa
L'articolo esamina l'anomalia, introdotta dal governo Prodi, nella tassazione IRPEF per la prima casa.

da | 8 Gen 2007 | Società | 0 commenti

Chi ha scritto che la Legge Finanziaria 2007 è stata redatta frettolosamente (e pertanto è piena di lacune ed incongruenze, solo in parte sanate con il passaggio in Aula per l’approvazione) ha un ulteriore motivo di soddisfazione per aver visto giusto. Infatti la nuova IRPEF del governo di Romano Prodi presenta un’evidente anomalia laddove non considera, nel calcolo delle detrazioni d’imposta (che adesso hanno sostituito le vecchie deduzioni), l’influenza che su di esse opera la rendita della prima casa e delle sue pertinenze, con il risultato che, se formalmente il reddito dell’abitazione principale non entra nell’imponibile da tassare, di fatto esso determina un importo aggiuntivo da versare.

Prima di chiarire meglio il complesso meccanismo che indirettamente porta la prima casa (e le sue pertinenze) a far pagare al suo proprietario un’IRPEF maggiore, è bene fare una breve cronistoria dei difficili rapporti tra la più importante imposta diretta italiana ed il reddito derivante dall’abitazione principale.

La tassazione IRPEF della prima casa

La casa ove il contribuente vive ha sempre avuto un occhio di riguardo da parte del fisco, il quale inizialmente ha concesso di abbattere la rendita catastale ad essa attribuita (che rientra nella categoria dei redditi fondiari e come tale ingrossa il reddito complessivo dell’IRPEF) con un importo stabilito forfetariamente. Inizialmente tale “sconto” è stato di 1.100.000 lire, ma esso è cresciuto nel tempo, fino a giungere (dal 2001) ad un importo esattamente pari alla somma delle rendite dell’unità immobiliare principale e delle sue pertinenze. Così, mentre da un lato la prima casa attraverso la sua rendita catastale entra nel reddito complessivo ai fini IRPEF, dall’altro ne esce mediante il riconoscimento di una deduzione corrispondente alla rendita stessa (sempre considerando anche le eventuali pertinenze).

Il “reddito complessivo” quale misura delle prestazioni sociali

Certo, sarebbe stato molto più semplice riconoscere direttamente all’abitazione principale un’esenzione dai redditi rilevanti per l’imposta sul reddito, ma ciò avrebbe comportato il venir meno per il fisco di un importante effetto, conseguente proprio a questo particolare escamotage per il quale il reddito della prima unità immobiliare entra dalla porta principale per poi uscire dalla porta di servizio (si parla di case…). Infatti, anche se materialmente la casa principale non determina importi da pagare, la sua rendita (e quella delle sue pertinenze) aumenta l’entità del “reddito complessivo” e tale misura è fondamentale in molti casi in cui le prestazioni del welfare (dello Stato sociale) sono legate appunto alla sua quantificazione, nel senso che maggiore è il reddito complessivo e minore è il numero di prestazioni assistenziali cui il contribuente ha diritto (è il caso per es. del pagamento dei ticket sanitari, delle rette per gli asili nido, delle tasse universitarie, etc…). Quindi, con la rendita della prima casa dentro il reddito complessivo, grossa parte dei contribuenti è esclusa da numerose prestazioni sociali (o le paga di più), generando un notevole risparmio nella spesa pubblica statale.

La prima casa nel sistema tributario del governo Berlusconi

A complicare questo delicato equilibrio, frutto di abile ingegneria tributaria, è intervenuta la riforma IRPEF del governo Berlusconi, che ha, tra l’altro, eliminato le “detrazioni” per carichi di famiglia e per tipo di reddito (di lavoro dipendente, di pensione e d’impresa/lavoro autonomo), sostituendole con le più convenienti “deduzioni”, dette “per family area” e “no tax area”. Ricordiamo che le deduzioni sono in sostanza degli abbattimenti del reddito imponibile, cioè della somma su cui calcolare l’imposta, mentre le detrazioni sono delle diminuzioni dell’imposta (lorda), le quali, una volta operate, permettono di arrivare all’imposta netta.

Nel percorso fiscale voluto dal precedente governo, le due deduzioni (family area e no tax area) venivano calcolate (e lo saranno ancora nella prossima dichiarazione dei redditi, relativa al 2006) con delle formule che avevano come parametro principale l’importo del reddito complessivo, ovvero la somma di tutti i redditi del contribuente, ivi compreso il reddito dei fabbricati e quindi anche la prima casa e le sue pertinenze. Tuttavia nelle formule era contenuta una variabile che rendeva neutra la rendita catastale e pertanto tutte le volte che si faceva riferimento al reddito complessivo del contribuente, non lo si penalizzava per il fatto di essere proprietario di un’abitazione utilizzata come residenza della propria famiglia.

La prima casa nel sistema tributario del governo Prodi

Questa deduzione dall’IRPEF dell’unità immobiliare principale (ex art. 10 del TUIR) è ancora vigente, ma la Finanziaria 2007 licenziata dal governo Prodi ha – come detto – sostituito le deduzioni con nuove detrazioni per carichi di famiglia e tipologia di reddito (provocando quindi un ritorno della normativa al passato) e tali detrazioni sono quantificate da formule, peraltro abbastanza complesse, che, facendo anch’esse riferimento come parametro essenziale al reddito complessivo, non prevedono alcun annullamento per l’abitazione principale. Il risultato finale è che quest’ultima farà pagare al suo proprietario più IRPEF e ciò a causa delle minori detrazioni operate, in quanto calcolate su un reddito (quello complessivo) più alto del reddito tassato (che è al netto della rendita catastale per prima casa e pertinenze).

Un esempio chiarirà meglio il difficile meccanismo previsto dalla nuova Finanziaria.

  • Reddito da lavoro dipendente per l’intero anno € 35.000
  • Reddito prima casa e pertinenze € 1.200
  • a carico moglie e due figli maggiori di tre anni

Il reddito complessivo è € 36.200 (stipendio + prima casa), mentre il reddito imponibile sul quale è calcolata l’IRPEF è € 35.000 in virtù della deduzione dal reddito per l’abitazione principale.

In tale situazione l’imposta lorda calcolata solo su € 35.000 è di € 9.620 alla quale somma vanno però sottratte le detrazioni (per carichi di famiglia e per lavoro dipendente) pari rispettivamente a € 1.763 e € 629, pertanto l’imposta netta che ci interessa è € 7.228 (9.620 – 1.763 – 629).

Quest’ultimo importo è comprensivo di ben € 88 derivanti dal fatto che le detrazioni sopra esposte, anziché essere calcolate sul reddito imponibile (€ 35.000, al netto della prima casa), sono calcolate sul reddito complessivo (€ 36.200, comprensivo dell’abitazione principale e delle pertinenze), dando così luogo ad una sorta d’imposta indiretta di 88 euro, che non nasce dalla tassazione, ma dal calcolo delle detrazioni, risultanti d’importo inferiore alle attese.

Se infatti si calcolassero, a parità di condizioni, le detrazioni IRPEF solo sulla parte imponibile, cioè su € 35.000, verrebbero fuori un’imposta lorda uguale alla precedente (€ 9.620, in quanto il reddito imponibile è lo stesso) ed un’imposta netta di € 7.140 (9.620 – detrazioni 1.811 e 669), inferiore alla precedente a causa della circostanza che le detrazioni hanno fatto riferimento ad un reddito più basso (le detrazioni sono infatti maggiori quanto più basso è il reddito complessivo e viceversa).

Le soluzioni possibili

Quale potrà essere il comportamento del governo una volta preso atto dell’anomalia descritta?
Vediamo di tracciare un quadro delle diverse ipotesi:

  • la normativa è lasciata così com’è.
    E’ l’ipotesi meno realistica, perché la tassazione di fatto della prima casa comporterebbe ulteriori malumori riguardo la politica fiscale dell’esecutivo (come se non bastassero quelli già espressi da più parti sociali), ma soprattutto perché i datori di lavoro opererebbero in busta paga una detrazione sostanzialmente sbagliata (e minore), identificando il reddito complessivo del lavoratore con il reddito imponibile, quando invece tra i due ci sarebbe quanto meno la differenza generata dal reddito della prima casa di proprietà.
    Il risultato sarebbe quello di una quantificazione di detrazioni inferiore all’importo esatto ed i lavoratori sarebbero costretti a presentare comunque la dichiarazione dei redditi (pur in assenza di altri redditi) per versare quanto non trattenuto dal datore di lavoro. E’ vero che il lavoratore potrebbe comunicare all’impresa ove presta servizio di tenere conto del reddito per l’abitazione principale (così come di tutti gli altri redditi), in modo da consentire l’esatta determinazione dell’importo delle trattenute fiscali nella sua busta paga, ma è anche vero che sarebbero presumibilmente molto frequenti casi di omessa o erronea indicazione di questi dati al datore di lavoro e di conseguenza situazioni di erroneo pagamento dell’imposta, nonché di omessa presentazione dell’obbligatoria dichiarazione dei redditi;
  • Si interviene sulla normativa per rendere neutrale l’abitazione principale rispetto all’imposta.
    Innanzitutto l’intervento deve essere appunto normativo, non potendo in sede interpretativa, e quindi con uno strumento come p.es. la circolare, derogare ad un atto legislativo. Ciò perché le disposizioni parlano inequivocabilmente di reddito complessivo (laddove si espongono le formule per le detrazioni d’imposta) e pertanto eventuali rettifiche sono necessariamente d’apportare mediante un provvedimento di pari valore, anche se non sono mancati casi, nella storia della Repubblica, in cui si è corretta una legge attraverso un’interpretazione contenuta all’interno di atti di rango inferiore.
    Con tale modifica in sostanza si dovrà fare in modo di allineare i sistemi di tassazione e di detrazione, cosicché la tassazione sia calcolata sullo stesso dato numerico su cui sono calcolate anche le detrazioni. Questa eventualità comporterebbe la completa neutralità degli effetti fiscali derivanti dalla prima casa, effetti che sarebbero fondamentalmente identici a quelli antecedenti le modifiche all’IRPEF operate con la Finanziaria 2007;
  • Si stabilisce una volta per tutte l’esenzione della prima casa dalla tassazione IRPEF.
    Sarebbe l’ipotesi più favorevole al contribuente ed avrebbe una serie di vantaggi, anche per l’amministrazione pubblica. L’abitazione principale si troverebbe al riparo da gran parte delle future variazioni alla disciplina IRPEF, perlomeno da tutte quelle che facciano riferimento al reddito complessivo come indice basilare per il calcolo di deduzioni o detrazioni. L’esecutivo non avrebbe bisogno, ogni qual volta ritocchi il procedimento per la loro quantificazione, di escogitare ed inserire variabili atte a neutralizzare o diminuire il “peso” della prima casa. Ma soprattutto l’esenzione in oggetto eviterebbe di comprendere la rendita dell’abitazione principale (e delle sue pertinenze) nel reddito complessivo dei contribuenti, così da impedire che essi vengano esclusi (o accedano ad un costo maggiore), per ragioni legate al reddito, ai servizi ed alle prestazioni dello stato sociale (welfare), come sopra spiegato.
    C’è da osservare come quest’ultima soluzione per la prima casa dovrebbe essere quella più probabile, non costituendo altro che il “minimo sindacale” per uno Stato governato da forze di sinistra, ma tale affermazione, nella complessità della politica italiana, appare oltremodo “ingenua” ed “inverosimile”.

Aspettiamo per conoscere l’evoluzione futura della disciplina legislativa sull’IRPEF.

Aggiornamento

Dopo esattamente un anno finalmente il nostro governo ha deciso di correggere l’anomalia della prima casa nel calcolo dell’IRPEF, con effetto anche per i redditi 2007.

La maggioranza ha deciso di orientarsi — con una norma contenuta nella legge finanziaria 2008 — verso la soluzione n. 2 sopra prospettata: le detrazioni saranno calcolate non sul reddito complessivo del contribuente, bensì su quello complessivo al netto dei redditi per prima casa e sue pertinenze.

Il ritardo non è senza conseguenze. Infatti, tutti i datori di lavoro che hanno tenuto conto, nell’elaborazione delle buste paga dei propri dipendenti, dei redditi fondiari per l’abitazione principale (e pertinenze) comunicati dal lavoratore, dovranno adesso rifare i conti per l’intero anno e provvedere al relativo conguaglio entro dicembre e ciò sempre nel presupposto che la norma della finanziaria sia approvata, così com’è, in sede parlamentare.

Insomma un’altra tipica confusione “all’italiana”, cui però si sarebbe potuto rimediare molto prima.

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