TFR o seconda pensione? Lavoratori privati al bivio
Non è facile la decisione imposta ai lavoratori delle aziende private dalla recente legge Finanziaria riguardo la sorte del credito vantato verso il datore di lavoro a titolo di liquidazione (o Trattamento di Fine Rapporto, TFR). Credito che si riscuoterà al momento della cessazione, per qualsiasi causa, del rapporto subordinato.
Non è facile perché la normativa è, ancora una volta, complessa, perché i rendimenti delle forme di previdenza integrativa (che costituiscono appunto l’alternativa al TFR) sono comunque valutabili solo in maniera previsionale e soprattutto perché con il meccanismo del silenzio-assenso il lavoratore finisce per esprimere una preferenza verso il cambiamento (ovvero verso la previdenza complementare) che magari è contraria alla sua volontà. E’ opportuno pertanto fornire una bussola d’orientamento, chiara e coincisa, ai tanti lavoratori costretti a scegliere tra il mantenimento in azienda di tutto il TFR (quello già maturato e quello venturo) ed il versamento delle future quote ad un fondo integrativo, per avere poi, al raggiungimento dei requisiti, una seconda pensione.
Innanzitutto l’opzione in questione deve essere comunicata al datore di lavoro entro il prossimo 30 giugno 2007, valendo, in caso d’omessa pronuncia da parte del lavoratore, la scelta a favore della previdenza integrativa.
In tale ultima eventualità (il c.d. silenzio-assenso) l’impresa privata dovrà provvedere a trasferire i prossimi accantonamenti del TFR al fondo pensione stabilito dagli accordi aziendali oppure, in mancanza di questo, al fondo cui ha aderito la maggioranza dei lavoratori aziendali. Se non è determinabile il fondo d’adesione con le due precedenti modalità (fondo da contratto collettivo o fondo scelto dalla maggioranza dei lavoratori), il futuro TFR viene versato in uno speciale fondo integrativo istituito presso l’INPS.
Più articolata è invece la strada per i dipendenti che intendono manifestare espressamente la loro decisione (sempre entro il 30 giugno), che si trovano di fronte a due alternative:
- mantenere lo status quo , ovvero lasciare che le future annualità del TFR continuino a rimanere in azienda. In questa circostanza, che va formalmente comunicata per non far scattare il silenzio-assenso di segno contrario, i lavoratori rinunciano alla previdenza integrativa e quindi, in cambio di un più sostanzioso TFR, non avranno diritto all’erogazione di una seconda pensione (a meno che essi non siano già iscritti, per una parte del loro TFR, ad un fondo pensione, così com’è attualmente stabilito dai contratti collettivi di alcuni comparti economici).
Peraltro è importante sottolineare come la strada in parola sia l’unica dalla quale si può tranquillamente far ritorno, nel senso che i dipendenti possono sempre cambiare idea, anche dopo il 30 giugno 2007, e versare le annualità future di TFR ad un fondo integrativo. Diversamente, l’opzione a favore del fondo pensione è in ogni caso (pure in quello del c.d. silenzio-assenso) irrevocabile.
Inoltre, la parte futura di TFR che con l’esercizio di questa facoltà rimane all’interno dell’impresa (e che costituisce tecnicamente una sua forma di “autofinanziamento”) sarà trasferita, nelle aziende con almeno 50 dipendenti, in un apposito conto di tesoreria gestito dall’INPS (diverso dal fondo integrativo INPS visto sopra per il silenzio-assenso) e ciò in adempimento di un’altra discussa novità della manovra finanziaria del Governo. E’ bene precisare comunque che tale ultima disposizione non incide minimamente sui diritti dei lavoratori circa il loro credito per TFR;
- optare per la previdenza complementare, ovvero crearsi una pensione addizionale, utilizzando all’uopo, in tutto o in parte, le future quote della liquidazione. Più precisamente per i lavoratori iscritti all’INPS dopo il 29/4/93 verrà trasferito a fondi integrativi l’intero TFR che maturerà negli anni a venire, mentre per quelli più anziani, già iscritti all’Ente di previdenza alla suddetta data, verrà devoluta ai fondi pensione solo la quota prevista negli accordi collettivi o, in assenza di questa indicazione, una quota non inferiore al 50%, rimanendo la parte residua “depositata” in azienda a titolo di TFR.
La possibilità di scegliere un fondo integrativo è attribuita anche ai lavoratori con contratto a termine, purché abbiano un rapporto subordinato che preveda appunto l’accantonamento del TFR. Essi possono inoltre, nell’eventualità di un cambio d’attività, “girare” la loro posizione contributiva al nuovo fondo settoriale (come possono fare peraltro anche i dipendenti a tempo indeterminato).
Infine, i lavoratori che già versano parte del loro TFR a fondi pensione preesistenti decideranno, con le stesse regole dei loro colleghi, se tenere in azienda la residua quota di TFR o versarla nel fondo a cui già aderiscono.
Ma la vera domanda che i dipendenti del settore privato si pongono è quale delle due alternative d’impiego del TFR è più conveniente: aderire ad una pensione integrativa o lasciare le cose come stanno e prendere a fine rapporto l’intera liquidazione maturata negli anni di lavoro?
A questa domanda cerchiamo di rispondere fornendo degli spunti di riflessione e diciamo subito che molto dipende dall’anzianità di servizio dei lavoratori.
In linea di massima, i più vicini all’età pensionabile ed in particolare quelli che riceveranno una pensione “retributiva”, calcolata cioè sulla retribuzione (avendo avuto al 31 dicembre 1995 almeno 18 anni di contribuzione), non hanno un grande vantaggio a gettarsi sui fondi pensione.
All’opposto e sempre in linea di massima, per i lavoratori più giovani, quelli cioè che, stante la legislazione attuale, percepiranno una pensione calcolata col metodo contributivo, appare opportuna la scelta a favore della costituzione di una pensione di supporto. Essi hanno anzi una maggiore speranza di remunerazione del loro capitale se, all’interno della vasta gamma di tipologie di fondi, opteranno per quelli azionari, i quali per loro natura rendono nel lungo termine tassi particolarmente favorevoli. I fondi già esistenti hanno registrato infatti in 25 anni delle performances quasi pari a due volte il rendimento del TFR.
La decisione è sicuramente meno agevole per i tanti lavoratori che si trovano in mezzo ai suddetti estremi. Essi possono identificarsi, per semplificare, con coloro che avranno una pensione liquidata col metodo misto, retributivo e contributivo al tempo stesso. In questa eventualità la convenienza ad investire nei fondi pensioni è da valutare caso per caso, tenendo presente sia che non è affatto scontata nel breve periodo la maggiore redditività dei fondi (soprattutto obbligazionari) rispetto alla pur semplice rivalutazione del TFR, sia che ci sono altri elementi da considerare per la pensione integrativa, come gli eventuali contributi aggiuntivi (da ripartire tra datore di lavoro e lavoratore secondo gli accordi contrattuali) ed i benefici fiscali derivanti al lavoratore dalla possibilità di dedurre dal suo reddito i contributi versati al fondo, entro il limite di 5.164,57 euro.
Una cosa è comunque certa: con la nuova normativa sul TFR si riuscirà finalmente a far decollare in Italia il sistema della previdenza integrativa, dopo ben dieci anni di fallimenti, e l’impennata sarà tanto più evidente quanto più un’analoga regolamentazione verrà estesa (come sembra) al settore del pubblico impiego.
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