Con una cadenza purtroppo quasi quotidiana, i media non smettono di informarci sugli attentati che da anni insanguinano il Medio Oriente, tenendoci così aggiornati sul terrificante numero delle vittime di un conflitto folle e disperato, come tutti i conflitti.
Tuttavia raramente stampa e TV ci dicono quali sono le cause di quella guerra: perché israeliani e palestinesi si odiano? E quando è nato questo impressionante astio? I media danno spesso per scontata, tra la loro audience, la conoscenza delle risposte a tali interrogativi. Invece molte persone, soprattutto i giovani, non hanno la più pallida idea del motivo per cui il Medio Oriente è diventato una polveriera pronta ad esplodere al minimo incidente.
Ritengo pertanto utile fornire un quadro d’insieme delle vicende storiche che, con il tempo, hanno determinato l’attuale situazione politica in MO, a vantaggio di tutti gli interessati. Di coloro cioè che, come me, non si fermano davanti alla notizia, ma vogliono comprenderla nella sua interezza. Questa spiegazione è rivolta a loro e spero che risulti chiara e completa.
1947-1949
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Le radici profonde del conflitto risalgono addirittura al 1947, quando l’Assemblea dell’ONU vota la delibera che, spartendo la Palestina tra arabi ed ebrei, dà luogo alla creazione del nuovo stato d’Israele. Qui si riversano quindi i migliaia di ebrei scampati alle recenti persecuzioni naziste. E pensare che fino agli anni successivi alla prima guerra mondiale la Gran Bretagna appoggiava, anziché gli ebrei, il nazionalismo arabo, considerato un buon alleato per contrastare il pericolo dall’espansionismo turco nel mediterraneo. Forte della sua egemonia (politica e militare) nel territorio, per i trascorsi coloniali e per i mandati dell’ONU, la GB abbandonerà però molto presto l’appoggio agli arabi per dirottarlo verso la causa ebraica.
Tale circostanza, unita alle notevoli migrazioni ebraiche verso i territori palestinesi assegnati dalle Nazioni Unite, costituisce pertanto la primissima fonte di malcontento tra i paesi arabi. Tanto che alcuni di essi, in particolare Egitto, Siria, Giordania, Libano ed Iraq, attaccano nel 1948 il neonato stato israeliano, provocando la sua immediata reazione e originando la prima guerra arabo-israeliana. La fine delle belligeranze avviene con l’armistizio del 1949 e Israele si ritrova ad avere, a causa della sua sostanziale vittoria, un territorio ancora più vasto di quello deciso dall’ONU. Lo stato ebraico è anche ammesso tra i membri della stessa ONU e viene riconosciuto dagli USA e dall’URSS. |
1956-1973
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Da questo momento in poi è un susseguirsi di tensioni e schermaglie fra lo stato di Israele, adesso sostenuto dagli Stati Uniti, ed i paesi arabi. Si comincia nel 1956 con la seconda guerra arabo-israeliana, provocata dalla crisi del canale di Suez.
Si prosegue poi con la terza, nel 1967, meglio conosciuta come la guerra “dei sei giorni”. E’ durante questo ennesimo capitolo di odio che Israele occupa i famigerati territori di Gaza, della Cisgiordania, del Golan e del Sinai. Per arrivare, nel 1973, al quarto conflitto arabo-israeliano (guerra del Kippur). Nel frattempo l’OLP (l’Organizzazione per la Liberazione della Palestina), nata nel 1964, inizia la sua attività di guerriglia contro Israele. |
1974-1979
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Nel biennio ’74-’75, grazie alla mediazione USA, Israele restituisce ad Egitto e Siria parte dei territori occupati durante le guerre. In particolare nel 1979, con gli accordi di Camp David ed il delicato lavoro di negoziazione del presidente americano Jimmy Carter, si giunge al primo vero trattato di pace fra il premier egiziano Sadat ed il primo ministro israeliano Begin. In virtù di tali accordi l’Egitto riconosce l’esistenza della stato di Israele, in cambio della restituzione della penisola di Suez.
Sadat pagherà con la vita, qualche anno più tardi (1981), il riconoscimento di Israele, rimanendo vittima di un attentato. |
1981-1982
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I venti di pace sono presto dimenticati. Nel 1981 Israele occupa le alture del Golan ed un anno dopo sferra un improvviso attacco al Libano, occupandone la parte meridionale. L’operazione bellica prende il nome di “pace in Galilea” ed è a ragione considerata la quinta guerra arabo-israeliana. L’obiettivo palese dell’attacco è l’annientamento dell’OLP.
L’azione di guerra provoca la severa condanna da parte della comunità internazionale, la quale disapprova decisamente anche la successiva strage di civili palestinesi nei campi profughi di Beirut, ad opera di militari libanesi di fede cristiano maronita, ma con la responsabilità indiretta dell’esercito israeliano deputato alla sorveglianza di quei quartieri di Beirut. In seguito a tale evento, che segna una profonda crisi nella reputazione di Israele, l’allora ministro della difesa Ariel Sharon è costretto a dimettersi. Ritornerà però al governo, eletto come primo ministro, nel 2001. |
1987-1995
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Nel 1987 si intensifica il malessere tra i profughi che vivono nei territori occupati e a dare voce a questo disagio è, sempre più, l’OLP di Yasser Arafat. Nel 1988 la protesta prende corpo attraverso il movimento integralista di Hamas che, dichiarando il Jihad (guerra santa) contro Israele, dà inizio alla prima Intifada (scossa, brivido, ovvero rivolta popolare con mezzi improvvisati come le pietre).
Intanto il Libano firma un accordo di pace con la Siria e promuove il disarmo di tutti i gruppi armati. Non accettano il disarmo gli Hezbollah filo-siriani ed anti-israeliani, i quali rappresenteranno negli anni futuri il pericolo maggiore per l’esercito israeliano. Tuttavia, proprio in tale momento di radicalizzazione delle posizioni, giunge un forte segnale di pace: l’OLP si dichiara disponibile ad accogliere la risoluzione n. 242 dell’ONU, che prevede il riconoscimento di Israele e la nascita dello stato indipendente di Palestina. Il negoziato, tenuto inizialmente segreto dalle parti, sfocia negli accordi di Oslo del 1993, nei quali Israele e OLP si riconoscono reciprocamente ed aprono un canale diplomatico per definire l’autonomia amministrativa della striscia di Gaza e di Gerico. La firma finale del trattato tra Rabin e Arafat avviene a Washington, di fronte al presidente USA Bill Clinton nella sua qualità di mediatore. Sulla scia dell’accordo raggiunto, i leaders arabi e israeliani formalizzano successivamente altre intese, di cui la più importante è quella detta di “Oslo 2” del 1995. Essa prevede in particolare l’impegno di Israele a ritirare le proprie truppe da buona parte della striscia di Gaza e dalla Cisgiordania, con la trasmissione della relativa sovranità alla neonata Autorità Nazionale Palestinese (ANP), la quale avrebbe dovuto costituire il primo organo politico del futuro stato palestinese. Tuttavia la strada inaugurata per la pace si rivela ben presto lastricata di insidie. Innanzitutto, i termini degli accordi stipulati sono poco chiari, di difficile interpretazione, e ciò non agevola di certo la convivenza dei popoli nei devastati territori occupati. Poi, nel novembre del 1995, viene assassinato il premier Rabin, per mano di un militante dell’estrema destra religiosa israeliana. Questi eventi determinano, dalla parte israeliana, una lunga crisi politica – resa manifesta dall’avvicendarsi di vari governi alla guida del paese – e, da quella palestinese, il riemergere dell’estremismo ed il conseguente arresto del processo di pace. |
1996-2001
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In Israele si alternano i governi di Shimon Peres, Benjamin Netanyahu, Ehud Barak e Ariel Sharon. Il fronte diplomatico vede un parziale successo con il ritiro dell’esercito israeliano da alcuni territori occupati: Libano meridionale, Gaza e 28 centri della Cisgiordania. Ma le relazioni tra le parti sono sempre tese, tant’è che nel 2000 esplode la seconda Intifada. Da questo momento in poi aumentano in modo impressionante gli attacchi di guerriglia urbana contro gli israeliani, compresi gli attentati suicidi finalizzati all’uccisione di civili ebrei, mentre l’esercito di Tel Aviv risponde con delle rappresaglie in cui gli interventi militari puntano all’assassinio di individui sospettati di essere terroristi palestinesi.
Il numero dei morti aumenta in modo esponenziale e le prospettive di pace si fanno sempre più lontane. |
2002- ????
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Negli ultimi anni sono da registrare due importanti iniziative a favore della pace.La prima, voluta dal presidente americano George W. Bush, consiste in un piano cadenzato di impegni per entrambe le parti, denominato “Road Map”. Esso intende porre definitivamente fine al conflitto, sulla base del principio “due popoli-due stati”. Prevede l’obbligo, a carico delle forze palestinesi, di abbandonare ogni forma di azione terroristica e la creazione, in ogni caso, dello stato palestinese. La Road Map ha ricevuto il parere favorevole di ONU, UE e Russia.
L’altro tentativo di portare la pace in Medio Oriente è stato avviato ad opera di due figure considerate sopra le parti: il laburista israeliano Yossi Beilin e l’ex ministro palestinese Adeb Rabbo. A tale iniziativa, cui è stato dato il nome di “accordi di Ginevra”, hanno aderito molti personaggi dello scenario politico internazionale. Anche questi ultimi accordi hanno contributo quantomeno a creare un tavolo di discussione per la risoluzione dei problemi sul tappeto, ma si differenziano dalla Road Map, oltre che per il diverso carisma dei promotori, per l’auspicato coinvolgimento delle forze internazionali nel processo di pace e per l’originale soluzione della questione di Gerusalemme, che verrebbe divisa in vari settori (con sovranità separate) per diventare la capitale di due stati. Tra gli eventi più recenti sono da ricordare:
Sono inoltre da citare, ancora più recentemente, i seguenti eventi:
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Ho visto spesso dei documentari in cui scimpanzé di gruppi diversi si fronteggiavano. Ebbene, se ci guardiamo bene dentro, nonostante umani, e convinti di superiorità intellettiva rispetto ad essi, ho l’impressione che siamo ancora molto simili. La cosa dovrebbe far pensare a cosa serva il nostro maggior sviluppo intellettivo rispetto agli scimpanzé…da cui dicono, discendiamo.