La Repubblica di Salò
Alle 22.45 del 24 Luglio 1943, una voce stentorea lesse un comunicato: <<Sua Maestà il re e imperatore ha accettato le dimissioni dalla carica di Capo del Governo, primo ministro segretario di Stato, di sua eccellenza il cavaliere Benito Mussolini, ed ha nominato capo del Governo…Pietro Badoglio>>. La gente che ascoltò il comunicato scese subito nelle piazze, per esternare emozioni contrastanti: gioia per la fine della guerra e rabbia per un regime che non si amava più. Già la mattina del 26 luglio erano scomparsi i giganteschi fasci littori che adornavano il balcone di palazzo Venezia. La gente scese nelle strade festante, chi con il quadro del Re in mano, chi con fogli prestampati con la scritta <<Viva l’esercito>>, c’era chi invece camminava col pugno chiuso. Una cosa , comunque, accomunava tutti, la gioia immensa perchè si pensava che con la fine del fascismo finisse anche la guerra.
Ma il comunicato di Badoglio diceva anche:<<La guerra continua>>.
Il popolo non comprese subito tali parole; venti anni di silenzio furono in un attimo abbattuti e le strade, le piazze di tutte le città si colorarono di gente sorridente e festante. La notizia del crollo del Regime fascista è ancora oggi argomento di discussione per vari studiosi.
Infatti quello che risulta incomprensibile non è la serie di eventi che condussero alla fine del regime, bensi il motivo per cui non ci sia stata nessuna resistenza da parte dei fascisti. Ovviamente alcune sacche resistettero a tale cambiamento epocale, ma si trattò pochi episodi sporadici; venti anni di fascismo caddero all’improvviso, come un castello di sabbia.
Le risposte a questo quesito sono molteplici. Prima di tutto il fascismo cominciò a perdere consensi dal 1938, con l’entrata in vigore delle <<leggi razziali>>, leggi che la maggior parte degli italiani non riusciva proprio a capire. Poi la guerra- condotta male- e una politica interna che era sempre diventata più rigida e assente. Il fascismo e il regime diventavano sempre più diventati bersagli delle battute stizzite del popolo: Mussolini era chiamato <<Mutolini>>; si cominciò a chiamare l’ultimo foro della cinta dei pantaloni, che si stringeva sempre più perchè non si mangiava, col nome <<Foro Mussolini>>.
Il 25 luglio 1943, intorno alle 17, il Duce salì su un autoambulanza, era l’ultima volta che avrebbe visto il Re e Roma. Da quel momento iniziò per lui un odissea, l’ex Duce di Italia fu portato a tappe in varie parti della penisola per poi approdare sul Gran Sasso e rimanere lì prigioniero di Badoglio.
Il nuovo capo di governo attuò subito una politica interna molto rigida; prima di tutto, almeno formalmente, era determinato a continuare la guerra con i tedeschi; poi attuò un regime militare in tutta Italia e come ultimo obbiettivo era determinato a trovare tutti gli ex fascisti per toglierli di mezzo. Badoglio era stato preferito a Caviglia, propostogli da Grandi.
La popolazione, dopo i primi entusiasmi capì che le cose erano cambiate ben poco. In tutte le città furono costituiti picchetti di carabinieri e dell’esercito; furono affissi comunicati del Comando del Corpo d’Armata recanti come oggetto l’ <<Attuazione dello Stato di Guerra>>. In esso si ribadiva il coprifuoco che aveva inizio alle 21,30; l’impossibilità di riunirsi in più di tre persone; l’impossibilità di affissione di stampati, di manoscritti, di inviti di qualsiasi specie….
I fascisti, come già detto, si nascosero o si rifugiarono in Germania.
Personaggio fondamentale per capire meglio quale fosse lo spirito e le motivazioni di quella che sarà la rinascita del neo fascismo è certamente A. Pavolini. Subito dopo il 25 luglio si nascose a Roma in via delle tre Madonne ai Parioli a casa di un amico. Il giorno dopo, dalla stessa abitazione, guardava la gente festante che distruggeva i fasci littori che adornavano la facciata dell’ Istituto Africano in via Aldrovandi.
Alcuni giorni dopo raggiunse il Fhurer, così come Farinacci, Ciano, Preziosi.
Sarà Pavolini, però, l’ <<irriducibile >> di Salò, che trasformò il partito politico- militare in un feroce esercito: le brigate nere. Dopo il 25 luglio che fine avevano fatto gli altri fascisti? Balbo era morto agli inizi del 1940; Ettore Muti (pilota di gran valore e segretario del P.N.F.) sarà ucciso a Fregane, il 24 agosto, dai carabinieri in circostanze strane. Giuseppe Bottai si nascose a lungo, era cercato dai badogliani e dai nazisti, lo si ritroverà nella Legione straniera Francese, a Sidi Bel Abbès, arruolatosi sotto il nome di Andrea Battaglia. Il vertice del fascismo era totalmente disgregato.
Dal 25 luglio ai primi giorni di settembre, in Italia, si vissero momenti difficili; dal punto di vista diplomatico Badoglio instaurò i primi contatti con gli Alleati, dando vita il 3 settembre alla prima tappa di quella che sarà chiamato dai più, il giorno della “Morte della Patria”:l’ 8 settembre. Quel giorno il Governo comunicò l’abbandono dell’alleanza Italo- Tedesca: l’ Italia si ritrovò nella confusione più totale; in alcuni casi i soldati italiani, ignari della situazione, vennero arrestati o addirittura uccisi da coloro che credevano ancora degli alleati: i tedeschi.
Il Re e in Governo lasciarono Roma allo sbando, con una fila lunghissima di macchine si diressero verso il sud liberato. Bisogna dire che l’ex alleato tedesco non si era mai fidato di Badoglio, infatti, appena usciti il Re e il Governo entrarono, nella capitale le armate tedesche, pronte a rifarsi di uno stato che ormai era diventato un nemico e in più un traditore.
Entrando in di Roma, i nazisti trovarono i primi atti di resistenza; infatti molti civili e ex militari impugnarono le armi, scesero per le strade ed iniziarono a sparare contro le armate che avanzavano inesorabilmente. A porta San Paolo si verificarono dei veri e propri atti eroici, che per lo più finirono con la morte dei civili. Furono i primi martiri di un lungo elenco, furono i primi giorni di un periodo di terrore che passerà per il 23 marzo 1944: l’attentato di via Rasella e del seguente massacro delle fosse Ardeatine.
Mussolini nel frattempo era ancora imprigionato a Campo Imperatore, sorvegliato giorno e notte da dei carabinieri.
Come già detto quasi tutti i fascisti si erano rifugiati in Germania, così come anche la famiglia Mussolini e la famiglia Ciano. I fascisti presenti in Germania insieme ai nazisti avevano tutte le intenzioni di ridar vita al fascismo. I tedeschi erano d’accordo su tutto meno sul nome del capo di questo nuovo fascismo. Farinacci fece di tutto per attirarsi le simpatie dei tedeschi, non sapendo che lo stesso Hitler lo odiava e addirittura aveva pensato di fucilarlo, perchè lo aveva scambiato per il <<traditore>> numero uno, Dino Grandi. Goebbles scriverà sulle figure e i nomi del neofascismo <<sono troppo poco importanti>>.
Il colpo di scena si ebbe il 14 settembre 1943: Mussolini venne liberato grazie ad un reparto delle SS.
Le foto di questo avvenimento sono eloquenti; il Duce era un uomo stanco, invecchiato, vestito blu con un cappello “borghese” in testa. Addosso ha un cappotto blu scuro di molte taglie più grande, la mascella volitiva che per molti anni aveva caratterizzato il mito del Duce era scomparsa, il viso scavato. L’aereo su cui salì Mussolini, un Heinkel , raggiunse Vienna dove ci fu l’incontro con Hitler. Durante questo incontro Mussolini potè riabbracciare nuovamente anche il figlio Vittorio, che in seguito scrisse:
<< Scese mio padre dall’aereo accennando un sorriso, salutando romanamente. Sul capo un cappello nero a cencio. Il volto pallido e l’aspetto malato. Era magro e stanco. Provai un profondo sentimento di pena e anche di ira.>>
Hitler invece era raggiante e gioioso; aveva liberato il capo della Repubblica sociale italiana: Benito Mussolini.
Con la creazione della Repubblica, si credeva, che il Fascismo delle origini, ossia quello di San Sepolcro, sarebbe potuto risorgere e piano piano riconquistare il potere nel paese.
Mussolini, il 17 settembre, fece risentire la propria voce al popolo italiano, quel popolo che un tempo si riuniva in casa per ascoltarlo nei suoi famosi discorsi. L’appello dell’Ex Duce al paese fu trasmesso da Monaco, egli disse:<<Camicie nere, Italiani e Italiane. Dopo un lungo silenzio, ecco nuovamente vi giunge la mia voce e sono sicuro che la riconoscerete: è la voce che vi ha chiamato a raccolta nei momenti difficili e che ha celebrato con voi le giornate trionfali della Patria. Ho tardato qualche giorno prima di indirizzarmi a voi, perchè, dopo un periodo di isolamento morale, era necessario che riprendessi contatto col mondo..>>. Il discorso poi continuò attaccando la dinastia reale e delineando quelle che erano le basi etico-filosofiche della nuova repubblica: <<Lo Stato che noi vogliamo instaurare sarà nazionale e sociale nel senso più lato della parola…>>.
Mussolini continuava, poi, incitando a riprendere la guerra a fianco l’alleato Tedesco e Giapponese; ad eliminare i traditori che << fino alle 21,30 del 25 luglio militavano da parecchi anni, nelle file del partito…>>. Fu nominato segretario del partito repubblicano Alessandro Pavolini.
Intanto nel paese il caos era totale; a Roma i Nazisti avevano avuto i primi scontri, come già detto, a porta San Paolo. A Marzabotto, gli stessi, sterminarono più di milleottocento civili. A Fornelli, impiccarono il sindaco e cinque civili che si erano rifiutati di consegnare le armi, uomini, carri e cavalli. A Cefalonia trucidarono i seimila militari della divisione <<Acqui>>.
Sempre a Roma, intanto, molti antifascisti ricominciarono a incontrarsi e costituirono il Comitato di Liberazione Nazionale.
Riepilogando: l’Italia del sud era occupata dagli alleati e vedeva la presenza del Re e di Badoglio che avevano lasciato Roma; dal Lazio in su l’Italia era occupata dai nazisti e dal neonato stato Repubblicano fascista. Mussolini era libero ma totalmente svuotato del suo potere di un tempo. In più, in una Roma occupata dai Nazisti si era costituito un Comitato di Liberazione Nazionale.
I fascisti repubblichini si riunirono per la prima volta al Congresso di Verona, nel novembre del ’43, in cui diedero vita al “Manifesto di Verona”. A tale evento non partecipò Benito Mussolini, che credeva ben poco in queste iniziative, ma mandò un suo messaggio letto dal segretario Pavolini, vestito in sahariana e berretto nero. Da tale congresso uscì fuori il “Manifesto di Verona” redatto da Mussolini, Pavolini ed una figura nuova del fascismo e un tempo comunista convinto: Nicola Bombacci. Con i 18 punti di tale documento si ponevano le basi -del tutto formali- di un nuovo fascismo, anzi, del fascismo più antico: quello di San Sepolcro. Tale documento, il “Manifesto”, era la somma di idee socialiste; in più si decretava la caduta della monarchia e la continuità delle leggi razziali. Qualcuno propose anche l’abolizione nuda e cruda della proprietà privata.
I vari punti furono approvati per acclamazione, tra grida e urla. In tale manifestazione, più volte le camicie nere presenti, urlarono il loro odio verso i vecchi esponenti di un tempo. I nomi come Galeazzo Ciano e Starace sollevarono un’irrefrenabile gazzarra e un’invocazione corale di condanna a morte, si sentirono molte volte voci che urlavano: << Sparategli una palla in testa! Squartatelo!>>. L’uno era odiato perchè traditore e causa del crollo del fascismo; l’altro invece era ritenuto responsabile dell’immobilità del Regime e del suo imborghesimento. Come già detto, i 18 punti vennero frettolosamente esposti in un clima di esaltazione e confusione totale; anche perchè prima dell’inizio del Congresso arrivò la notizia dell’uccisione del federale fascista di Ferrara, scatenando le ire e le grida di sempre. Venne subito allestita una <<spedizione punitiva>> al grido di <<Tutti a Ferrara!>>; da lì a poco 17 ostaggi antifascisti furono presi a caso e vennero passati alle armi.
Mussolini parlò a proposito di tale Congresso come di <<Una bolgia. Molte chiacchiere confuse, poche idee chiare>>.
Mentre gli alleati avanzavano inesorabilmente a Messina e la neonata Repubblica fascista stava creando le proprie basi, Mussolini ora si trovava accerchiato da persone di scarsa qualità a cui doveva affidare il nuovo governo. Era chiaro che l’ex Duce era sorvegliato dai nazisti e in una condizione di semi libertà . Si racconta che spesso Mussolini era deriso dalle stesse guardie naziste, che appena lo vedevano affacciarsi dietro le tende del suo alloggio lo insultavano e lo deridevano.
Infatti il Duce era sorvegliato da due ufficiali tedeschi, il colonnello Jandl e il capitano Hoppe, così come i collegamenti telefonici tra villa delle Orsoline, villa Feltrinelli e il mondo esterno erano tenuti sotto controllo da una centralina delle SS.
Il morale del Duce era bassissimo, la visione immobile del lago accresceva la malinconia e la sensazione di impotenza. Dal punto di vista fisico, era smagrito. Dava l’impressione di un uomo svuotato, senza punti di riferimento; l’unica cosa che lo rendeva felice erano le chiacchierate con Claretta e la lettura dei giornali.
L’ufficio del Duce fu sistemato a villa delle Orsoline di Gargnano, mentre i familiari furono sistemati a villa Feltrinelli. Di chi si poteva fidare? Il fratello era morto; i gerarchi rimasti al suo fianco erano di scarsissima qualità sia morale che pratica. Costituite le basi ideologiche della Repubblica ora bisognava creare il suo esercito. A chi affidare l’esercito della Repubblica? A Farinacci? Un esaltato sempre invidioso del Duce e di scarsissima intelligenza e dignità morale o a Preziosi, ancor peggio – se possibile – di Farinacci?
La scelta cadde su Graziani, l’uomo che usò i gas in Etiopia, ora era al vertici della R.S.I., nonostante fosse pure tra le persone più odiate da Mussolini (aveva pensato anche di farlo fucilare per tradimento). Infatti il Duce riteneva il Maresciallo un codardo e un vile, l’unico responsabile del crollo in Cirenaica; ma ora i tempi erano cambiati e in uno scenario desolante uomini come questi erano ritenuti addirittura indispensabili.
In ultimo il governo. Tra le persone di “spicco” Mussolini scelse gente come Guido Buffarini Guidi, Francesco Barracu, Fernando Mezzasoma. Questi erano gli uomini che avrebbe dovuto far rinascere il Fascismo e farlo ritornare alle origini.
Ovviamente questo governo era del tutto formale; infatti le decisioni più importanti erano rimandate ai nazisti come la censura e il controllo della stampa (la censura intervenne addirittura su alcuni articoli dello stesso Mussolini); la rimozione delle autorità civili o la direzione politica e militare della stessa Repubblica.
La totale impotenza di Mussolini raggiunse l’apice l’11 gennaio 1944. In questo giorno un plotone di repubblichini fucilarono i <<traditori>> del 25 luglio, tra cui anche Galeazzo Ciano, marito della figlia del Duce Edda. Più volte la figlia di Mussolini tentò di salvare il marito, il padre tentennava, avrebbe anche voluto salvare il genero ma sapeva benissimo che tale pensiero non era lo stesso del Fhurer che voleva una punizione esemplare per i colpevoli della caduta del Fascismo. Ciano fu rinchiuso in prigione a Verona, nel carcere degli Scalzi.
Era inevitabile che Galeazzo venisse ucciso. Se il Duce si fosse rifiutato al plotone di repubblichini si sarebbe sostituito un plotone nazista oppure sarebbero stati uccisi dai fascisti più violenti; si ricordi che più volte i fascisti cercarono di entrare nel carcere e di ucciderlo.In entrambi i casi la neonata Repubblica avrebbe perso totalmente credibilità .
Il processo, apertosi l’8 gennaio del 1944, ai <<traditori del 25 luglio>> fu un aborto giuridico, gli imputati furono chiamati ad essere giudicati come <<imputati del delitto di tradimento dell’Idea>>. Coloro che vennero chiamati a giudicare gli imputati non erano giudici veri ma fascisti della prima ora.. Tutti furono condannati a morte, tranne Cianetti. La fine di questa tragedia familiare ebbe il suo epilogo l’11 gennaio 1944 nella fortezza di San Procolo. De Bono rifiutò farsi di legare le mani, Ciano non accettò di essere fucilato alle spalle, infatti un momento prima dell’esecuzione si voltò col viso verso il plotone che mirò e sparò oltre che su Ciano anche su fascisti della prima ora come De Bono. Ciano non morì subito, cadde a terra legato alla sedia, fu finito con un colpo alla tempia. La notizia dell’avvenuta esecuzione venne trasmessa dalla radio. Dopo l’inno fascista <<Giovinezza>>. Secondo una testimonianza di Dolfin, Mussolini parlando di tale evento tragico disse:<< Bravi! Anche il commento musicale (riferito all’inno giovinezza), come a uno spettacolo di varietà . I morti vanno sempre rispettati. Guai dimenticare che sono morti bene, con un coraggio che molti dei giustizieri non avrebbero, anche se oggi predicano l’eroismo. Soltanto la propaganda, idiota e meschina, poteva dare a questa tragedia un carattere festaiolo. In qualsiasi occasione noi italiani ci dimostrano buffoni o feroci. Il fatto è che siamo impazziti: non distinguiamo più cos’è vita cos’è morte >>.
Tra le persone più felici della morte di Ciano c’era Alessandro Pavolini, Un tempo amico dello stesso Galeazzo; erano insieme in Etiopia col la squadriglia <<La Disperata>>. Pavolini, come quasi la maggioranza dei fascisti, infatti, non poteva pensare ad una rinascita di un Fascismo, senza una epurazione dei <<traditori>> del 25 luglio. Edda non perdonò mai il padre, si rifugiò in Svizzera e ad un biglietto mandato dal padre tramite un sacerdote amico rispose :<<…gli dica che due sole soluzioni potranno riabilitarlo ai miei occhi: fuggire o uccidersi >>.
L’idea che voleva dare il nuovo fascismo era quella di tranquillità . Nell’Italia occupata dai nazisti e dai fascisti repubblichini a settembre i bambini tornavano tranquillamente a scuola, il 6 gennaio si distribuivano i regali della befana, e quello che era più importante: si mangiava. Nei paesi occupati e bombardati molte volte gli stessi nazisti distribuivano sale alle popolazioni.
La Repubblica di Salò, come già accennato, aveva il suo esercito. Ci fu, nel momento della sua costituzione, una disputa tra chi voleva un esercito ideologizzato e politicizzato (come Renato Ricci) e chi voleva un esercito indipendente da tali fattori, totalmente apolitico, come Graziani. Bisogna dire che nei primi mesi della costituzione dell’esercito di Salò ci furono il 52% di diserzioni.La reazione fu quella di adottare i seguenti provvedimenti: l’abolizione di tutte le licenze e l’affissione di vari bandi nelle città in cui dove si avvertiva i renitenti di ritorsioni familiari e personali. In tutto le unità che formarono l’esercito della Repubblica di Salò furono di circa 200 mila uomini. Molti di questi, poi, andarono a finire nelle fila delle varie bande autonome filo- fasciste come le SS italiane; la X°a Mas di Valerio Borghese. Fu fondata la GNR (guardi nazionale repubblicana) di Ricci; essa aveva il compito di difendere le istituzioni e far rispettare le leggi della Repubblica; di proteggere l’incolumità personale dei cittadini; in poche parole sostituiva la MVSN. Il 14 aprile 1944 Alessandro Pavolini invece fonderà le sue Brigate. Bisognerebbe aprire una parentesi sulle motivazioni morali e materiali che spinsero molti giovani ad aderire a Salò. Dove è la patria? Cosa è giusto e ingiusto? Tra i grandi avvenimenti di quei 600 giorni va sottolineata la presenza delle donne. Queste venivano addestrate e inquadrate come ausiliare, corpo istituito nella primavera del 1944, dopo che le autorità fasciste avevano capito l’immensa importanza di tale presenza.
Inoltre a queste formazioni vi erano varie bande, che imperversavano nelle varie città ancora non liberate, come la banda Koch, che aveva il proprio covo in una traversa di via Boncompagni a Roma, alla pensione Oltremare. Fu una banda di torturatori spietati e micidiali, tra le loro fila c’era anche una donna.
Intanto la guerra continuava. Tra la notte del 4 e 5 luglio del ‘44 i Nazisti lasciarono Roma, poche ore dopo entrarono gli alleati. La gioia della popolazione fu enorme. Infatti, Roma << città aperta>> era passata attraverso mesi tremendi; prima lo scontro a San Paolo nel ’43, con la resistenza partigiana e il seguente rastrellamento. Nell’ ottobre dello stesso anno ci fu la rabbiosa razzia di un migliaio di ebrei nel ghetto. Il 23 Marzo 1944 ci fu l’attentato di via Rasella e il susseguente eccidio delle fosse Ardeatine, dove trovarono la morte trecentotrentacinque innocenti. Questa fu la << Roma Nazista >>. Fu la Roma dei fori provocati dai mitra in Via Rasella sulle finestre; fu la Roma delle retate in via Nazionale o delle persone con le spalle al muro e i fucili spianati in P.zza Barberini. Fu la Roma di Caruso, governatore della città e fedele esecutore dei nazisti; la Roma di via Tasso e dei bandi affissi sui muri di via delle milizie dove si dava notizia delle ripercussioni verso chi non aderiva al neonato fascismo.
Mussolini accolse la caduta di Roma molto male, in uno dei suoi articoli scrisse:<< il pensiero che tra il Colosseo e piazza del Popolo truppe di colore assilla il nostro spirito e ci dà una sofferenza che si fa di ore in ore più acuta. I negri sono passati sotto gli archi e sulle strade che furono costruiti ad esaltazione delle glorie antiche e nuove di Roma…Il grido di Garibaldi: “Roma o morte” diventa oggi la parola d’ordine, il comandamento supremo dei veri italiani >>.
Intanto la guerra continuava, e le sorti del Nazismo e del Neonato fascismo erano ormai segnate. Il 20 luglio del 1944, Mussolini di recò a Restenburg ad incontrare un Hitler ancora terrorizzato. Poche ore prima, infatti, in una riunione tenutasi nella “Tana del lupo” era scoppiato un ordigno, che aveva ucciso alcuni presenti e che aveva ferito in modo serio Hitler, bersaglio dell’attentato. Il Fuhrer era stato fortunato in tale circostanza, infatti l’ordigno, sistemato sotto il tavolo, scoppiò alzando lo stesso tavolo che finì per proteggere il dittatore: per Hitler questo era un chiaro segno che le sorti del Reich avrebbero avuto una svolta positiva. Il Fuhrer in questa occasione fu addirittura ironico, disse al suo ospite:
<< L’esplosione mi ha stracciato gli abiti e ne sono uscito seminudo, fortuna che non c’erano signore >>. Mussolini ritornò in Italia rincuorato dall’accaduto; anche il suo amico Hitler era stato tradito dai suoi stessi camerati; anche per Hitler si era verificato un <<25 luglio>>. Proprio nel 1944 Pavolini costituì le brigate nere, famose poi nella memoria di molti per le efferatezze da molti di loro attuate. L’annuncio di tale organismo avvenne, non a caso, il 25 luglio. Tale corpo militare inquadrava tutti gli iscritti al partito neofascista, la divisa era totalmente nera con un berretto a visiera con al centro un teschio. Non vi erano gradi, questo perchè si credeva che il movimento partigiano aveva tanto successo perchè i combattenti comunque vestivano abiti civili senza gradi o divise ufficiali e si voleva emularli. Ad ogni brigata venne dato il nome di un caduto fascista; nasceva così la brigata di Ravenna Ettore Muti, di Milano Aldo Resega, di Forlì Giuseppe Capanna e molte altre.
Intanto l’Italia veniva pian piano liberata dagli Alleati grazie anche all’aiuto delle formazioni partigiane. Alla fine del 1944, Mussolini decise di recarsi a Milano, dove non tornava da parecchio tempo. Ormai capiva che la fine era imminente, quindi voleva spostarsi da Salò a Milano, ma prima voleva capire quale fosse l’animo dei milanesi nei suoi confronti. La città lombarda era, ovviamente, notevolmente cambiata dall’ultima volta che il Duce l’aveva visitata; proprio nel 1944 si inaugurano le mense collettive (la prima a Porta Vittoria). 500 pensioni, 3000 razioni giornaliere al prezzo di L.4 compreso minestra e secondo piatto. La gente aveva fame, e prima a Milano, poi a Torino, Venezia i cartelli <<Distribuzione Minestre Popolari>> aumentavano sempre più. Il nord Italia era così affamato che addirittura il podestà di Milano obbligò a tutti di denunciare il possesso di galline ovaiole. Sui balconi, invece di fiori, il popolo tentava di far crescere zucchine o pomodori. Siamo alla fine del 1944 e proprio in questo periodo i bollettini di guerra informavano che l’esercito tedesco aveva sferrato una violenta offensiva nelle Ardenne. Gli alleati per un certo periodo arretrarono. Si trattava dell’ultimo colpo di coda dell’esercito tedesco. Mussolini quindi approfittò di questa temporanea schiarita per tornare a Milano per la prima volta dopo il 25 luglio 1943. Venne accolto da una folla incredibile, numerosissima (circa 50.000) che lo applaudì e lo acclamò. Fu un fenomeno collettivo, ancora oggi del tutto inspiegabile, che sorprese soprattutto i fascisti ormai abituati da tempo a celebrare da soli i loro lugubri riti. Ovviamente è impensabile credere che il tutto si sia svolto senza un minimo di controllo dall’alto. Rimane il fatto che i giorni 16,17 e 18 dicembre furono per i fascisti una gran boccata d’ ossigeno, Mussolini parlò poi al teatro Lirico; poi si trasferì in piazza San Sepolcro e davanti a castello Sforzesco, sempre con il segretario del partito Alessandro Pavolini al suo fianco. Più tardi, il segretario del partito, scriverà alla moglie:<< Io sono felice dopo queste giornate di Milano. Il Duce era contento per la prima vota dopo anni >>.Bisogna dire che negli ultimi tempi Mussolini e Pavolini passavano molto tempo a parlare; ad unirli c’era un progetto nato dalla mente del segretario del partito e avallato da Mussolini: il <<Ridotto in Valtellina>>. L’idea era quello di creare un ultima e feroce resistenza in Valtellina; concentrare tutte le forze possibili. Creare un ambito territoriale dove resistere e nel frattempo far rifiorire il fascismo. Il duce e Pavolini passarono così intere giornate a studiare la struttura del terreno, a studiare il modo di spostare le famiglie i soldati in Valtellina. Passarono ore e ore a parlare dei dettagli anche minimi; Pavolini disse un giorno, in uno di questi incontri che << In Valtellina si consumeranno le Termopili del fascismo >>. I due erano totalmente entusiasti di tale idea, tanto che in una lettere di Pavolini su tale progetto il Duce rispose:<< Vi affido con la presente l’incarico formale di presieder e dirigere i lavori della commissione che si chiamerà – Ridotto Alpino Repubblicano – >> (RAR). Ovviamente il progetto della <<bella morte>> falli miseramente. Alcuni reparti si trasferirono veramente in Valtellina, ma giunti a destinazione vennero a sapere che Mussolini era stato catturato mentre cercava rifugio in Svizzera.
Con il 1945 il cerchio intorno al Duce si incominciò a stringere. La guerra era persa e l’unico modo per salvarsi la vita era la fuga. L’esercito repubblichino era rimasto senza comandi, senza un vero alleato su cui fare affidamento, mentre nelle città del nord i gruppi partigiani conquistavano sempre più potere. La Repubblica si era spostata a Milano. Si cercarono di intavolare delle trattative con dei rappresentanti dei partigiani tramite l’intermediazione di un cardinale. Al momento del << trasloco >> nella cittadina lombarda la moglie del duce Rachele Mussolini disse al marito:<< Non c’è più nulla da fare. E’ finita! >>. Mentre l’Italia intera stava per essere interamente liberata, Mussolini stava cercando di arrivare al confine per trovare poi rifugio all’estero. Da Milano partì una lunghissima colonna di auto con all’interno fascisti e tedeschi. Mussolini sarà scoperto a Dongo dai partigiani, era travestito da soldato tedesco. Lui e Claretta (che lo aveva voluto seguire a tutti costi) saranno fatti prigionieri e saranno rinchiusi per la notte in un casale dei coniugi De Maria in contrada Bonzanigo. Passarono la notte insonne e si alzarono alle 11 del mattino. Alle 4 del pomeriggio furono tradotti dal partigiano Valerio con una “1100” nera, targata Roma. C’era un cielo pumbleo, una pioggia fine, in questa atmosfera furono uccisi Benito Mussolini e Claretta Petacci. I loro corpi saranno poi trasferiti in p.zzale Loreto, per poi essere appesi a testa in giù ad una pompa di benzina. Questa era la stessa piazza che aveva tributato gli ultimi onori a Mussolini appena un anno fa, ma anche la piazza nella quale furono giustiziati alcuni partigiani ed esposti per alcuni giorni.
Non ci fu nessuna << bella morte >>, solo un esperienza di 600 giorni, che se più possibile portò ancora più dolore e lutti. Non ci fu nessun ritorno alla” purezza delle origini”; anzi tale esperienza aveva reso il fascismo ancora più dipendente dai tedeschi e <<aveva trascinato gli italiani – come scrive De Felice – nell’orrore delle guerra fratricida, come nel buio delle faide medievali.
Che fine fecero gli altri gerarchi?
Alessandro Pavolini fu anche lui fermato da un posto di blocco partigiano, uscì da un mezzo blindato e cominciò a sparare. Fu ferito e poi giustiziato; anche lui sarà appeso a P.zzale Loreto.
Farinacci, fu bloccato mentre accompagnava la propria segretaria a casa. Fu portato sulla piazza principale di Vimercate , e qui inscenò la sua ultima rissa. Non accettò di essere fucilato alla schiena, e si rigirava continuamente verso il plotone d’esecuzione, fu preso a schiaffi e fucilato mentre gridava << viva il fascismo >>.
Buffarini Guidi fu trasportato mezzo svenuto davanti al tribunale che lo ritenne colpevole e sentenziò la pena di morte. Davanti al plotone pianse e supplicò di non essere ucciso.
Borghese e Graziani ebbero la vita salva.
Pietro Koch, comandante della banda Koch alla liberazione di Roma si trasferì a Milano, e in seguito alla vittoria dei partigiani si tagliò i baffi e si travestì anche lui da partigiano. Fu scoperto e ucciso.
Starace trovò la morte in un modo incredibile. Il 29 aprile del 1945 era in tuta blu a fare una corsetta (lui che era stato sempre amante dello sport) vicino a Piazzale Loreto, sembra quasi incredibile che uno degli uomini più odiati degli italiani stava facendo jogging a in quella piazza e in quel giorno. Un partigiano, scherzosamente, guardandolo esclamò << Starace dove vai? >> e Starace rispose << A prendere un caffè >>. Era veramente Achille Starace. Fu subito preso e malmenato. Poi fu portato al politecnico dove gli fu sentenziata la pena di morte. Venne ucciso davanti al corpo tumefatto di Mussolini, mentre faceva il saluto fascista, ma non fece in tempo alzare tutto il braccio.
Pietro Caruso fu ucciso anche lui e per sbaglio fu ucciso anche Carretta custode di Regina Coeli mai macchiatosi di infamità , anzi fu molte volte artefice di aiuti ed altro nei confronti di partigiani ed ebrei. Venne convocato al processo contro Caruso, come testimone, ma l’urlo di una donna fece scoppiare il linciaggio verso il povero Carretta. Fu buttato nel Tevere e preso a bastonate. Il corpo poi fu trasportato davanti all’abitazione della moglie.
Molti dei ragazzi e delle ragazze di Salò furono nei giorni e in molti casi negli anni seguenti trucidati.
Tutto è vanità nell’inseguire il vento.
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